La richezza rende avidi e ruvidi

Questa è la storia di una crisi economica, è un’idea su come uscirne, è una riflessione sul valore della crisi….

Islanda ieri: a fine settembre era ancora una leggenda nordica, un paese modello: 300 mila abitanti, 4 banche, 3 compagnie aeree, 0,5% disoccupazione, eletta dall’ONU “nazione ideale in cui vivere”
Islanda oggi: banche nazionalizzate, disoccupazione in crescita, si stima che arriverà al10% in primavera, svalutazione monetaria, debito pubblico che supera il Pil…
Cosa diavolo è successo? ….. Niente di strano, semplicemente le banche d’Islanda erano il forziere dell’Europa, DAVANO A TUTTI, inglesi, tedeschi, olandesi che lì depositavano attirati da interessi stratosferici. Il prestito era in valuta estera, (es.:gli inglesi davano la loro moneta ma ricevevano secondo il valore della corona islandese) e seguiva l’inflazione. Ad un certo punto la svalutazione monetaria isalndese ha reso impossibile la restituzine dei prestiti.
Per essere chiari: inflazione significa che il denaro perde valore: quello che prima potevo comprare con 10 adesso posso comprarlo con 20, (il perchè lo riserviamo alla prox se no diventa noioso), quindi se io ti faccio un prestito, che ne so di 10 e nel frattempo la moneta si è svalutata, alla fine ti devo restituire una somma che mi permetta di acquistare (potere d’acquisto) con quei soldi le stesse cose che potevo acquistare prima. Nel nostro caso ho preso 10 e devo restituire 20.
Conclusione: l’Islanda non ha più restituito i soldi a nessuno, e vi risparmio le reazioni dei paesi esteri (l’Inghilterra ha applicato le leggi antiterrorismo)….
Soluzioni? Le più disparate: facciamoci annettera alla Norvegia, adottiamo l’euro, diamo il potere alle donne:-))) (questa mi piace), che fanno meno casini ecc.. ecc..
Ma scoperta… l’Islanda ha chiuso una porta ed aperto un portone…
Grazie alla crisi gli islandesi hanno riscoperto se stessi…All’indomani del CRACK il giornale più diffuso aveva un editoriale non sul disatro economico, ma sull’anniversario della morte di un poeta. La gente pensava, scriveva, i necrologi erano tributi lunghi un racconto, i quotidiani invasi dalla corrsipondenza.
“Un mondo è finito, quello che pretende di spiegare ogni cosa con le leggi dell’economia e governare la società con le leggi del libero mercato (n.d.r. facciamo tutti come ci pare, prima o poi qualcosa succederà). Il giocattolo si è rotto e ha distrutto una generazione, facendo passare l’istruzione come un investimento. Non si va a scuola per diventare ricchi, ma perchè una benedetta chiave di lettura della realtà bisogna pure costruirsela. Gli studenti non sono consumatorI, gli insegnanti non vendono nulla. Tutti si iscrivevano a facoltà economiche, ma a cosa porta una società basata sull’economia? Al fallimento (Pàll ScKulason ex rettore dell’Università)

La crisi si è trasformata in una grande occasione per ricominciare da capo e curare i difetti.
La domanda allora è: che cosa significa uscire dalla crisi?
Riportare il down jones a diecimila, la corona a 1 euro e 65, la banca d’affari sottocasa a riaprire i battenti? tutto per poter rimandare i figli a studiare economia e commercio?
Gli Islandesi stanno pensando di dare il potere alle donne ed intanto stanno ricominciando a leggere!
….Peccato, però, sussuri di corridoio informano che lo zar sia arrivato in Islanda, con le tasche piene di soldi, dicendo: no problem, ci penso io, datemi qualche base missilistica e risolvo tutto!!!!!!

1 comment to La richezza rende avidi e ruvidi

  • A RIVOLUZIONE ISLANDESE
    NEL TOTALE SILENZIO DEI MEDIA

    E’ in corso da due anni una rivoluzione in Europa, ma nessuno ne parla: breve resoconto della rivolta anticrisi islandese.

    Recentemente la rivolta in Tunisia si è conclusa con la fuga del tiranno Ben Alì, così democratico per l’occidente fino all’altroieri e alunno esemplare del Fondo monetario internazionale.

    Tuttavia, un altra “rivoluzione” che ormai è in corso da due anni è stata completamente taciuta e nascosta dai media mainstream internazionali ed europei.

    È accaduto nella stessa Europa, in un paese con la democrazia probabilmente più antica del mondo, le cui origini vanno indietro all’anno 930 e che ha occupato il primo posto nel rapporto del ONU sull’indice dello sviluppo umano di 2007/2008. Indovinate di quale paese si tratta? Sono sicuro che la maggioranza non ne ha idea.

    Si tratta dell’Islanda, dove si è fatto dapprima dimettere il governo in carica al completo, poi si è passato alla nazionalizzazione delle principali banche, infine si è deciso di non pagare i debiti che queste avevano contratto con la Gran Bretagna e l’Olanda a causa della loro ignobile politica finanziaria; infine si è passati alla costituzione di un’assemblea popolare per riscrivere la propria costituzione.

    Tutto questo avviene attraverso una vera e propria rivoluzione, seppur senza spargimenti di sangue ma semplicemente a colpi di casseruole, con le proteste e le urle in piazza e con lanci di uova, una rivoluzione contro il potere politico-finanziario neoliberista che aveva condotto il paese nella grave crisi finanziaria.

    Non se ne è parlato dalle nostre parti, se non molto superficialmente, a differenza delle rivolte in altre latitudini discorsive (la Sicilia meridionale è più a sud di Tripoli, eppure la remota Islanda, più vicina al polo nord che all’Italia è percepita come parte della “Moderna” Europa).

    Il motivo è semplicemente il terrore, per lor signori, democratici o conservatori che siano, della riproducibilità e l’estensione di quelle lotte.

    Che cosa accadrebbe se il resto dei cittadini europei seguisse l’esempio islandese?

    Brevemente, la storia dei fatti:
    Alla fine di 2008, gli effetti della crisi nell’economia islandese sono devastanti. A ottobre Landsbanki, la banca principale del paese, è nazionalizzata.

    Il governo britannico congela tutti i beni della sua filiale IceSave, con 300.000 clienti britannici e 910 milione euro investiti dagli enti locali e dalle organizzazioni pubbliche del Regno Unito. Alla Landsbanki seguiranno le altre due banche principali, la Kaupthing e il Glitnir. I loro clienti principali sono in quei paesi e in Olanda, clienti ai quali i loro rispettivi stati devono rimborsare i depositi bancari, all’incirca 3.700 milioni di euro di soldi pubblici.

    L’insieme dei debiti per le attività bancarie dell’Islanda è equivalente a varie volte il suo PIL.

    Da un lato, la valuta sprofonda ed il mercato azionario sospende la relativa attività dopo un crollo del 76%.

    Il paese è alla bancarotta.

    Il governo chiede ufficialmente aiuto al Fondo monetario internazionale che approva un prestito di 2.100 milioni dollari, accompagnato da altri 2.500 milioni da parte di alcuni paesi nordici.

    Le proteste dei cittadini davanti al Parlamento a Reykjavik aumentano.

    Il 23 gennaio 2009 si convocano le elezioni anticipate e tre giorni dopo, i cacerolad@s sono di nuovo in piazza in migliaia e impongono le dimissioni del primo ministro, il conservatore Haarden e di tutto il suo governo in blocco.

    È il primo governo vittima della crisi finanziaria mondiale.

    Il 25 aprile ci sono le elezioni generali vinte da una coalizione socialdemocratica e dal movimento della sinistra-verde guidate dalla nuova prima ministra Jóhanna Sigurðardóttir.

    Nel 2009 la situazione economica resta devastata con il crollo del PIL del 7%..

    Sulla base di una legge ampiamente discussa nel Parlamento, viene stabilito il pagamento dei debiti in Gran Bretagna e in Olanda attraverso 3.500 milioni di euro che tutte le famiglie islandesi avrebbero dovuto pagare attraverso una tassazione del 5,5% per i prossimi 15 anni.

    Gli islandesi tornano a manifestare nelle strade per rivendicare un referendum popolare per la promulgazione della legge.

    Nel gennaio 2010 il presidente, Ólafur Ragnar Grímsson, rifiuta di ratificare la legge e indice la consultazione popolare: in marzo il referendum con il 93% di NO al pagamento del debito.

    La rivoluzione islandese vince. Il fondo monetario internazionale congela l’aiuto economico all’Islanda nella speranza di imporre in questo modo il pagamento dei debiti.

    A questo punto il governo apre un’inchiesta per individuare e perseguire penalmente i responsabili della crisi.

    Arrivano i primi mandati di cattura e gli arresti per banchieri e top-manager.

    L’Interpool spicca un ordine internazionale di arresto contro l’ex presidente della Kaupthing, Sigurdur Einarsson.

    Nel pieno della crisi, a novembre, si elegge un’assemblea costituente per preparare una nuova costituzione che, sulla base della lezione della crisi, sostituisce quella in vigore. Si decreta il potere popolare.

    Vengono eletti 25 cittadini, senza alcun collegamento politico, tra le 522 candidature popolari, per le quali era necessario soltanto la maggiore età e il supporto sottoscritto di 30 cittadini.

    L’assemblea costituzionale avvierà i suoi lavori nel febbraio del 2011 e presenterà a breve un progetto costituzionale sulla base delle raccomandazioni deliberate dalle diverse assemblee che si stanno svolgendo in tutto il paese. Tale progetto costituzionale dovrà poi essere approvato dall’attuale parlamento e da quello che sarà eletto alle prossime elezioni legislative.

    Inoltre, l’altro strumento “rivoluzionario” sul quale si stà lavorando è l’ “Icelandic Modern Media Initiative”, un progetto finalizzato alla costruzione di una cornice legale per la protezione della libertà di informazione e dell’espressione.

    L’obiettivo è fare del paese un rifugio sicuro per il giornalismo investigativo e la libertà di informazione, un “paradiso legale” per le fonti, i giornalisti e gli internet provider che divulgano informazioni giornalistiche: Un inferno per gli Stati Uniti ed un paradiso per Wikileaks.

    Questa in breve la storia della rivoluzione islandese: dimissioni in blocco del governo, nazionalizzazione delle banche, referendum e consultazione popolare, arresto e persecuzione dei responsabili della crisi, riscritura della costituzione, esaltazione della libertà di informazione e di espressione.

    Ne hanno parlato i mass media europei?

    Ne hanno parlato i vari talk-show televisivi, i giornali di destra o di sinistra?

    Nel nostro paese, come in tanti altri paesi occidentali, si cerca di superare la crisi attraverso un processo di socializzazione delle perdite con i tagli sociali e la precarizzazione dilagante.

    Quando si inizia a parlare della rivolta islandese si tende a decostruire la potenza costituente della rivolta , minimizzando e relativizzando la sua porta, per il timore del contagio: e dunque l’Islanda è una piccola isola di soltanto 300.000 abitanti, con un complesso economico ed amministrativo molto meno complesso di quello dei grandi paesi europei, ragione per la quale è più facile da organizzare in se cambiamenti così radicali.

    Insomma, in questo caso e da questa prospettiva è difficile impiantare l’ordine discorsivo “orientalistico” del sottosviluppo con il quale vengono liquidate le cosiddette “rivoluzioni modernizzatrici” del maghreb.

    Parliamo comunque della “civile Europa”.

    La stessa “civile Europa” alla quale tentano di aggrapparsi i tecnocrati islandesi più realisti del re: la soluzione ai mali dell’Islanda, la crisi islandese, è a loro dire il prodotto dell’isolazionismo economico e da mesi continuano a parlare e accellerare sull’adesione all’Unione Europea come antidoto contro la devastazione neoliberista.

    Confondono ancora una volta la cura con la malattia.

    E quindi vogliono stringere su questo tema, così come allo stesso modo l’Europa vuole riprendere sotto le sue ali protettive la ribelle Islanda, per strangolarla dolcemente e senza traumi attraverso i suoi diktat, i suoi vincoli e i suoi patti di stabilità. Ma il popolo islandese ha già dimostrato di non lasciarsi facilmente abbindolare.

    FONTE: http://www.liberamenteservo.it/modules.php?name=News&file=article&sid=4245

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