SCUOLA – modelli europei di sistemi scolastici

Modelli europei di sistemi scolastici

Esistono quattro modelli di sistemi educativi, presenti in Europa, secondo un’utile tipologia realizzata dalla studiosa in Sociologia della Scuola Francine Vaniscotte. Ben lontani dal sostenere che esiste una ed un’unica soluzione, migliore delle altre sempre in tutto e per tutto, il modello scandinavo appare sotto molteplici punti di vista come quello che andrebbe preso come termine di riferimento. Tale affermazione è supportata anche dai risultati ottenuti attraverso le ricerche centrate sulla valutazione internazionale delle competenze acquisite dagli studenti (PISA – Programma per la valutazione internazionale dell’allievo – Programme for International Student Assessment). Va però evidenziato che, limitatamente al primo ciclo scolastico (Scuola Primaria o Ex Elementare), nelle ultime 6 valutazioni internazionali i migliori risultati sono stati ottenuti dalla Scuola Italiana pre-riforma!

Tipo scandinavo: la scuola unica

Questo modello (presente in Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia) si pone come obiettivo prioritario la maggior eguaglianza di opportunità, fornendo a tutti i bambini la stessa preparazione fino ai 16 anni di età, cioè per tutto l’obbligo scolastico. Si tratta di una scuola unica nel senso che tutti gli studenti, nella stessa scuola, ricevono il medesimo insegnamento, da un gruppo di docenti che, per quanto possibile, rimane lo stesso per tutto il periodo. In questo modo si cerca di assicurare la massima continuità pedagogica: solo alla fine del percorso è possibile scegliere qualche disciplina diversa e vengono date valutazioni (da 1 a 5). Inoltre si vuole ottenere che tutti i ragazzi, al termine, raggiungano le stesse conoscenze di base che sono connesse, appunto, al significato dell’obbligo scolastico: i saperi necessari ad una cittadinanza piena, per potersi inserire in modo idoneo in una società democratica. In quest’ottica le votazioni (e le conseguenti bocciature) non hanno significato: non vi è insuccesso scolastico e i risultati vanno nel senso di una buona uguaglianza di acquisizioni scolastiche generalizzate, con livelli qualitativi elevati; sembra, perciò il modello più idoneo a realizzare una scuola «giusta ed efficace», come del resto confermano le comparazioni internazionali.

Tipo anglosassone: la scuola polivalente

È il modello dell’Inghilterra, del Galles, dell’Irlanda del Nord, della Scozia e, con qualche differenza, della Repubblica d’Irlanda. La Comprehensive School (scuola polivalente) invece di unificare primario e secondario inferiore, ricerca una continuità tra quest’ultimo e il secondario superiore, con programmi che si possono scegliere da parte di allievi e famiglie, ora però più limitatamente, poiché nel 1988 è stato definito un National Curriculum. In Inghilterra permane un piccolo numero di scuole tradizionali, che mantengono la vecchia distinzione fra Grammar Schools, Modern Schools e Techical Schools, alle quali accedono i bambini delle “famiglie bene”. Il sistema del tutorato costituisce il principale supporto al miglior funzionamento, in termini di eguaglianza e qualità del sistema. Il docente tutore guida l’allievo nel suo percorso scolastico, si preoccupa che l’insegnamento sia differenziato e perfino individualizzato ed aiuta i bambini in difficoltà (in Scozia vi è la figura del docente itinerante, che assicura sostegno aiutando colleghi e allievi che ne hanno bisogno). Anche in questo caso, pur procedendo a valutazioni degli allievi, non sono previste ripetenze: pur con una struttura diversa vi è un’“aria di famiglia” con il modello scandinavo, che deriva probabilmente dalla comune religione protestante (Irlanda esclusa, ovviamente).

In Scozia il decentramento, già tipico di questo sistema, rimane più ampio, non essendo, tra l’altro, stato adottato il curriculum nazionale.

Tipo germanico: gli indirizzi separati

Questo modello, presente in Austria, Germania, Lussemburgo, Olanda, Svizzera e, con differenze, in Belgio, mantiene la tradizionale suddivisione in tre indirizzi. Negli ultimi anni alcuni paesi hanno cominciato a preoccuparsi di una suddivisione degli studenti così precoce (all’inizio della secondaria inferiore, come era in Italia prima del 1962) e cercano di sviluppare un sistema di passerelle fra gli indirizzi. L’opzione fra indirizzi differenziati rimane comunque il fondamento di questo modello, che ha in Germania la sua massima espressione. Il bambino tedesco, entrato nella scuola a 6 anni, dopo 4 anni di studio (con qualche differenza secondo i Landers), deve scegliere che strada intraprendere, anche se, teoricamente, sarebbero ancora possibili delle passerelle fra i 10 e i 12 anni di età. Oltre un terzo accede alla formazione corta (Hauptschule), seguita da una preparazione professionale che introduce al lavoro, con una alternanza con periodi di studio, fino ai 18 anni (è il sistema duale, tanto ammirato in Italia, ma, oggi, messo in discussione nella stessa Germania, perché, con la crisi economica succeduta all’unificazione, le imprese non sono più in grado di offrire abbastanza stages formativi e la disoccupazione è molto aumentata). Un quarto dei ragazzi va verso una scuola media (la Realschule), che permette di accedere ad una formazione superiore, però solo di tipo non universitario. Un poco più di un quarto degli studenti si iscrive alla scuola secondaria generale (il Gymnasium), per seguire un curricolo che lo condurrà agli studi universitari. La logica di questo modello è opposta a quella dei sistemi scandinavi: in questi ultimi si vuole portare tutti i ragazzi allo stesso livello a 16 anni, con ancora tutte le strade aperte, mentre in Germania l’orientamento molto precoce porta ad una situazione che, se dà assicurazioni sul futuro, le fornisce con modalità fortemente condizionate dall’estrazione sociale. Certo l’insuccesso scolastico non costituisce un problema, visto che gli studenti vengono quasi subito suddivisi in livelli differenziati, partecipando a scuole che richiedono prestazioni molto diverse. L’autonomia scolastica, nonostante il decentramento strutturale derivante dallo Stato federale, non è molto ampia: il centralismo dei Landers (e la eventuale costruzione di un’Europa delle regioni corre appunto questo rischio), non sembra lasciare molto spazio alla libertà di gestione delle singole scuole. L’ultima indagine comparativa sui risultati dei ragazzi quindicenni ha visto, per gli studenti tedeschi, un risultato non solo inferiore alla media, ma con differenziazioni fra i migliori e i peggiori molto ampie: poca qualità e ancor minore equità.

Tipo latino e mediterraneo: il tronco comune

Quest’ultimo modello, presente in Francia, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna, sembra un tentativo di combinare i precedenti, i quanto ha scelto la soluzione di realizzare una scuola unica per la prima parte della secondaria, ma senza una effettiva pedagogia differenziata (come in Scandinavia) e senza il tutorato (come nei paesi anglosassoni). Invece rimane in questa tradizione (sono tutti paesi cattolici tranne la Grecia, ortodossa) un fondamentale “classicismo”, che li rende molto attenti all’acquisizione di conoscenze, con esami e ripetenze. In alcuni paesi, ad esempio in Francia, rimangono anche degli equivalenti parziali degli indirizzi, con classi di livello, scelte di lingue straniere, sistemi di opzione.

I Paesi latini sono generalmente più sensibili all’insuccesso scolastico contro il quale lottano e per parecchie ragioni: democratizzazione più tardiva e/o condizioni economiche meno favorevoli per certi Paesi, ma soprattutto volontà di portare l’insieme della popolazione scolastica al livello di conoscenza più alto possibile. Sono forse i Paesi che si trovano più a disagio nel loro sistema educativo poiché, sebbene molto diversi tra loro, perseguono l’ideale egualitario della scuola unica scandinava, mentre per tradizione pedagogica, hanno spesso un’uniformità di metodi e delle esigenze che si traducono in frequenti controlli delle conoscenze, in vincoli di esami e di voti e in una maggiore consuetudine di ripetenza.

Questi paesi, tradizionalmente centralistici, stanno procedendo a decentramenti abbastanza ampi, che esaltano l’autonomia delle scuole, pur mantenendo programmi comuni piuttosto vincolanti.

L’esposizione sintetica di questa tipologia, del resto necessariamente schematica, chiarisce però bene che le differenze strutturali esistenti fra i diversi modelli rispondono a logiche profondamente radicate, per cui sembra impossibile, e addirittura sbagliato, pensare ad una uniformizzazione europea, anche se alcuni elementi di convergenza esistono, indotti dall’economia e dalla domanda di formazione, come la generalizzazione dell’istruzione secondaria superiore e la massificazione di quella superiore.

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