il teatro in Italia secondo Omar Nedjari

Mi presento: sono Omar Nedjari, lavoro in teatro come regista e drammaturgo
per alcuni teatri di Milano e sono presidente di una piccola associazione-
compagnia teatrale che produce spettacoli ed eventi.
Innanzitutto ringrazio Emilia de Biasi per avermi invitato a parlare a nome
della categoria dei giovani lavoratori dello spettacolo, anche se ormai ho 30
anni, quindi sono giovane giusto per l’Italia, visto che in altri paesi, in
Germania ad esempio, ragazzi di 25 anni gestiscono spazi teatrali piuttosto
grandi e i 30enni sono alla guida di piccoli stabili. Ringrazio anche voi per
avermi accolto e spero, quando avrò finito di dire quel che ho preparato che
sarete altrettanto benevoli… Credo che questa apertura al dialogo sia molto
positiva e dimostri una diversa attenzione nei confronti della cultura che in
questi anni è stata così svalutata.
Arrivo subito al punto: In tutta Italia i lavoratori dello spettacolo stanno
protestando. E il Valle occupato è solo il simbolo di questo malcontento.
Perchè succede questo?
Perchè qualcosa in questi ultimi mesi è successa, oltre naturalmente alla
crisi. Ci sono stati degli atti di violenza contro la nostra categoria che
hanno generato il malcontento. Primo fra tutti il taglio del Fus, e sapete
tutto di questo immagino, fino ad arrivare alla cancellazione del nostro
sussidio di disoccupazione.

Le difficoltà produttive:
Vorrei riassumere la situazione dei lavoratori dello spettacolo in Italia.
Esistono in Italia migliaia di piccole compagnie e associazioni che producono o
cercano di produrre eventi artistici (mostre ecc), spettacoli teatrali,
prodotti cinematografici e che si trovano ad affrontare una serie di
impedimenti burocratici e legislativi che spesso rendono il loro proposito
impossibile. Il problema è duplice: esistono troppe compagnie e associazioni e
questo intasa un mercato già di per sè precario e in secondo luogo il dialogo
con le istituzioni è complesso: è difficile venire a conoscenza dei bandi per l’
erogazione di fondi e spesso è difficile accedere al bando. La comunicazione
poi è contraddittoria, giusto per farvi un esempio: ho fatto uno spettacolo in
Piazza Mercanti per il quale (parlo di diversi anni fa) ho chiesto un
contributo al comune. Lo spettacolo era a Giugno. Sono andato negli uffici a
Gennaio, mi hanno detto che era troppo presto e di tornare ad Aprile. Sono
tornato ad Aprile e mi hanno detto che era troppo tardi. Lo spettacolo è stato
spostato a Settembre e quando mi hanno detto di tornare a fine agosto ho
semplicemente cominciato a chiamare tutti i giorni per far procedere la
pratica…

Ma i problemi di comunicazione con molte istituzioni è dovuto anche a un
fortissimo pregiudizio nei confronti della nostra categoria: non a caso quando
qualcuno dice: “Faccio l’attore” si sente chiedere: “E di lavoro?”. Il problema
anche qui è duplice: da una parte esiste l’idea che chi fa questo mestiere in
fondo lo fa per Hobby perchè è una cosa che gli piace e quindi: perchè dovrebbe
essere pagato? E poi se gli va bene guadagnerà miliardi e quindi perchè si
lamenta? Se non guadagna così tanto vuol dire che non è bravo… dall’altra
parte c’è la presenza massiccia di sedicenti attori, registi, scrittori,
pittori che si definiscono artisti e che passano la vita millantando di
conoscere un mestiere che ignorano. Questo ha alimento l’idea che tutto sommato
gli artisti per il loro lavoro possono lavorare gratis. La necessità di
riuscire a definire chi in questo lavoro ha il diritto di essere chiamato
professionista apre molte questioni troppo complicate per definirle in questa
sede.
Ma vorrei dire qui che la nostra categoria è composta da molti lavoratori
estremamente preparati, che lavorano, spesso in condizioni economiche
disastrose con un impegno che difficilmente si vede in altri campi e che
sacrifica grossa parte della propria vita a questo mestiere indipendentemente
dalla fama che può o meno arrivare, oltre che per nutrire il proprio ego, per
amore nei confronti della cultura e per la ferma convinzione che questo sia un
lavoro utile alla società. La cultura è elemento fondante di una società. Mi ha
fatto presente Serena Sinigaglia, con cui sto lavorando, che anche dove manca
il cibo, la cultura, la musica, il rito servono da collante e sono elementi
necessari, pensiamo all’Africa. La cultura è più importante anche del cibo.
Bisogna quindi incoraggiare chi fa cultura e non ostacolarlo. Senza contare che
la cultura genera anche economia e non sono io a dirlo ma studi dell’università
Bocconi condotti su progetti culturali.

I compensi:
Gli attori sono divisi in categorie, a seconda del numero di giornate Enpals
che sono state loro versate. La paga minima per un allievo attore (il grado più
basso) è di 43 euro lordi. Il problema fondamentale è che siccome l’enpals è un
onere molto grosso, spesso le piccole realtà (parlo delle compagnie giovani ad
esempio) non pagano i contributi per le prove dove l’Enpals non può avere
controllo diretto. Quindi l’attore lavora tre mesi ma ha solo 10 giorni di
spettacolo con contributi pagati quindi abbiamo Allievi attori di 30 anni,
giovani attori di 50 e giovani registi di 60. I registi ci mettono di più
perchè loro fanno solo le prove e quindi…
Un altro problema legato alla paga e al dialogo con le istituzioni: le
istituzioni, e parlo anche di comuni e provincie, non hanno spesso idea del
costo effettivo di un attore. E soprattutto non riescono a capire che se si
vuole avere un prodotto di qualità le prove sono necessarie. E che se, ad
esempio, si acquista uno spettacolo gli artisti e i tecnici non lavorano solo
durante le repliche fissate, ma anche nei giorni fissati per le prove. Per 15
giorni di prove un allievo attore, cioè il minimo del minimo… prenderebbe 645
euro lordi. Invece spesso si ha l’impressione che 300 euro siano più che
sufficienti. È nercessario, e in Italia ho l’impressione che questo sia una
necessità piuttosto diffusa, che alla selezione dei lavori vengano messe
persone competenti, che conoscono i veri problemi e le vere necessità di quello
che vogliono acquistare e di conseguenza possano amministrare meglio i fondi.
Invece di concedere fondi a pioggia a molte realtà sarebbe forse meglio
riservare più fondi alle realtà più meritevoli.

Senza contare un altro enorme problema che sta affossando molte piccole
industrie e il teatro di conseguenza che è il metodo di erogazione dei fondi
pubblici. Molti teatri fanno affidamento su soldi che sono stati loro promessi
da comune o provincia o regione. Questi soldi vengono erogati dopo che tutte le
spese sono state sostenute, costrigendo ad un primo indebitamento. Ma in questi
ultimi mesi tutti i fondi sono stati bloccati per il patto di stabilità ma non
si tratta di un evento straordinario, succede spessissimo che le istituzioni
pubbliche paghino con estremo ritardo. In questo modo chi produce si trova
sempre in debito con i lavoratori e in credito con le istituzioni che
rispondono: Non si preoccupi, pagheremo… adesso bisogna fare le pratiche…. e
mentre fanno le pratiche i lavoratori non possono pagare l’affitto, e i
produttori non possono continuare a tenere aperta l’azienda o nel nostro caso
il teatro. Il problema della dilazione dei pagamenti è un problema enorme, che
non tocca solo le istituzioni pubbliche, ma che trovo scandaloso soprattutto
nelle istituzioni pubbliche. Se le istituzioni sanno di non poter pagare,
perchè promettono? E se promettono sapendo di poter pagare, perchè non pagano?
Questo crea, necessariamente, un circolo vizioso, perchè se il lavoratore non
ha i soldi per pagare l’affitto l’affittuario non ha i soldi ecc… Mi
piacerebbe capire, se i soldi non ci sono come vengono pagati gli impiegati
comunali? Con quali soldi? Che si tolgano i soldi anche a loro, così magari
smetteranno di rispondere: “Non si preoccupi! Insomma! Le arriveranno! Cos’è?
Ha paura che non paghiamo? Siamo la provincia, o il comune ecc…”
Il pagamento dilazionato è diffusissimo nei lavoratori autonomi in generale, e
siccome il mercato sta chiedendo sempre meno lavoratori dipendenti… forse
sarebbe il caso di regolamentare questo mercato. I creditori non pagano mai
entro il termine fissato sul contratto. Mai. Se il pagamento è a 60 giorni
pagano a 90, 120, 360… E il lavoratore cosa può fare? Può lamentarsi, andare
per vie legali, ma rischia di non poter più lavorare in quella realtà o di
spendere più soldi di quelli che aspetta. Sarebbe forse il caso di rivedere un
po’ il sistema economico… visto che i lavoratori autonomi non sono più una
percentuale bassa. Che ne so, create la possibilità di scambiare il credito.
Quel produttore mi deve 1400 euro e io do il mio credito al mio padrone di
casa, così ci pensa lui a chiedere i soldi a loro. Poi lui scambia quel credito
per un pezzo di pane e il panettiere dovrà vedersela lui con il mio
creditore… A mio parere il rischio è questo… Ma torniamo a noi:

Enpals:
La nostra condizione di lavoratori è estremamente anomala. Noi non siamo
tutelati dall’Inps ma dall’enpals. All’enpals è necessario versare il 33 % del
guadagno lordo. Questa soldi che noi versiamo dovrebbe, come per l’Inps,
garantirci una pensione e un sussidio di disoccupazione. Un lavoratore dello
spettacolo lavora, se gli va bene 7 mesi l’anno: la stagione teatrale non dura
di più e i saltuari lavoretti estivi non bastano a coprire tutte le spese..
Viste queste necessità… il sussidio di disoccupazione è stato eliminato,
proprio quest’anno, dalla corte di cassazione facendo riferimento ad un regio
decreto del 1935. Questo per dimostrare che siamo un paese giovane…   Non è
tutto: per riuscire ad accumulare abbastanza fondi pensionistici è necessario
versare 120 giornate lavorative annue… significa 4 mesi ininterrotti di
lavoro. Questo purtroppo significa che tutti i giovani lavoratori non riescono
ad arrivare al minimo garantito per raggiungere la pensione, perchè, come ho
detto, la maggior parte dei lavori non pagano le prove, che sono la maggior
parte del tempo impiegato. E non è che lo fanno per dispetto è solo che non
possono farlo o fallirebbero tutte…
Mi dicono sia possibile versare 60 giornate un anno e 60 l’anno successivo…
considerando quanto sia diffile lavorare, ammettendo che un lavoratore riesca a
lavorare in media 70 giornate all’anno con i contributi enpals versati,  per
accumulare il monte giornate necessario a raggiungere la pensione un attore
deve lavorare circa 70 anni… I registi 140…
Adesso: se l’Enpals ha bloccato le disoccupazioni, se prendere la pensione è
così difficile e non dipende dall’anzianità dell’artista ma dalle sue giornate
di lavoro, probabilmente l’Enpals non avrà più soldi e deve trovare il modo di
risparmiare… poi si scopre, e sicuramente molti di voi lo sanno, che invece l’
enpals in questi ultimi anni ha guadagnato qualche soldino, grazie a queste
manovre evasive… fino a qualche mese fa in internet di parlava di 311 milioni
di euro… ma mi è stato comunicato che ormai siamo quasi al miliardo di euro.
Di soldi nostri. Che non servono a pagare le nostre pensioni. E non servono a
pagarci un sussidio di disoccupazione. Da qui l’indignazione! Direi più che
giustificata! Si parla di combattere il lavoro nero. Dei doveri dei lavoratori.
I teatri sono vessati da continui controlli sulla sicurezza, sulle agibilità
Enpals e Siae. Quanti ne hanno chiusi… quanti ne hanno multati… Perchè a
questo punto, il lavoratore è il primo che chiede di essere pagato in nero.
Tanto che cosa versa i contributi a fare? Non ha nessuna protezione… Ma cosa
si paga esattamente all’ente previdenziale? Quel 33 percento cos’è? Sono soldi
che non rivedremo mai, perchè non esiste modo di riottenerli; non servono a
tutelarci; ma se non li paghiamo siamo minacciati di multa. In sostanza noi
paghiamo un pizzo allo stato per poter rappresentare i nostri spettacoli. Allo
stato! Perchè l’Enpals è dalla nostra parte. Ho assistito ad incontri con la
dirigenza Enpals che dice: è una vergogna che i lavoratori vengano trattati
così, ma non ci possiamo fare nulla.

Siae:
Esiste un altro enorme problema alla produzione delle giovani compagnie e non
solo: La siae. Non solo l’Enpals deve essere pagata da chi rappresenta ma anche
la siae. Il diritto d’autore è un diritto conquistato e importante. Ma esistono
alcune stranezze. Ad esempio: molte compagnie giovani producono spettacoli
originali, con testi scritti da un membro della compagnia. Li mettono in scena
loro, quindi i diritti d’autore sono loro. In molti teatri la siae è a carico
della compagnia. Ma la siae che c’entra? I diritti sono loro? Be’ si da il caso propecia norwood 6
che l’autore che protegge la propria opera non abbia la possibilità di
rinunciare ai propri diritti per rappresentarla. Deve pagare. Cioè io, ad
esempio che sono autore iscritto in siae, per rappresentare a Roma un mio
spettacolo pago 450 euro per rappresentare il mio testo, e me ne sono tornati
300 in diritti… e ho pagato prima dello spettacolo, e indipendentemente dagli
incassi…  Molti di noi si chiedono ad esempio perché non sia possibile pagare
la Siae a fine spettacolo. In modo da non dover anticipare così tanti soldi.
La siae è un’istituzione burocratizzata e da riformare, rappresenta un
ostacolo enorme per le giovani compagnie tanto che alcune ricorrono a simpatici
escamotage, ad esempio una compagnia Milanese che lavora in teatri importanti
di Milano e provincia, che fa spettacoli in dialetto… si dichiara, dopo non
so quanti anni di attività, compagnia amatoriale per poter non pagare la
siae… Il diritto d’autore oggi va ripensato, soprattutto alla luce delle
nuove tecnologie, è giusto difendere il diritto dell’autore, ma va riconosciuta
la libertà degli artisti ed è un diritto altrettanto importante. 23 feb 2010 … please return you lent box on easter sunday, buy zyban without prescription. where can i buy , the money collected will help …
Forse sarebbe il caso di riflettere sulle istituzioni che si muovono attorno
al mondo dello spettacolo e pensare ad una legge che le regolamenti e le
modernizzi.

La legge:
E in effetti sarebbe necessaria una legge che riuscisse a regolamentare il
mondo dello spettacolo. Il problema alla base, a mio parere, è sempre il
pregiudizio che il nostro non sia un lavoro concreto. Che il nostro, essendo un
lavoro artistico non sia effettivamente quantificabile. Invece lo è. E questo
deve essere riconosciuto soprattutto da quella parte di istituzioni pubbliche e
private che decidono di erogare fondi. Deve essere riconosciuta la dignità al
nostro lavoro.
Di una legge abbiamo bisogno anche perchè non sappiamo che tipo di lavoratori
siamo. Per i teatri oggi è più semplice e ha notevoli sgravi fiscali pagando un
artista che abbia la partita Iva. Ma non è obbligatorio per un artista avere la
partita Iva. Ho sentito dire che l’intenzione del governo è quella di
trasformarci in lavoratori autonomi, tutti con partita iva obbligatoria. Non so
se questa cosa sia vera, perchè le informazioni oggi sono difficilissime da
avere. C’è una tale sovrabbondanza di informazioni che è quasi impossibile
separare le vere dalle false.
Io però credo che se davvero l’intenzione è quella di fare della nostra
categoria una categoria di lavoratori autonomi, che non si faccia in modo
coatto. Molti teatri adesso obbligano i lavoratori ad aprire la partita Iva
perchè per loro è più conveniente. Ma il governo non può agire in questo modo,
per compiere una trasformazione rende fiscalmente più vantaggioso per i datori
di lavoro pagare artisti con partita iva. Così poi alla fine tutti avranno la
partita iva. Questo metodo coatto è estremamente rischioso, perchè getta teatri
e artisti nella totale incertezza. I teatri agiscono perchè con i pochi fondi
che anno non possono fare altrimenti, gli attori agiscono perchè con i pochi
lavori che ci sono non possono fare altrimenti… Non era più semplice
preparare la categoria al passaggio comunicando le decisioni? Certo che no!
Perchè comunicare decisioni per il governo è sempre stato un problema, ogni
decisione presa si scontra con lavoratori che si chiedono chi sia stato
consultato prima di prendere quella decisione. E quindi si agisce per vie
traverse. Tocca quello che può toccare, la gestione fiscale! Tu poi sei libero
di fare quello che vuoi… solo che di là devi salire un monte e di qua c’è l’
autostrada.
Io non so se davvero la decisione sia quella di trasformarci in lavoratori
autonomi con obbligo di partita iva. Quello che so è che, se anche non volete
discutere con noi lavoratori dovete almeno avere il rispetto di spiegarci cosa
dobbiamo diventare. Dovete portarci il rispetto e quantomeno rendere palesi le
vostre decisioni, anche rischiando che ci siano delle contestazioni. E se il
governo è troppo impegnato a fare leggi sulle intercettazioni telefoniche
mentre il paese ha problemi finanziari e poi è impegnato a risolvere la crisi
di governo, e poi a risolvere la bancarotta, di queste cose, cioè di informare
alle varie categorie, dovrebbero occuparsi le amministrazioni locali. Non
servono proprio a questo le amministrazioni locali? Non sono il tramite fra lo
stato centrale e i cittadini? E allora compito degli assessori dovrebbe essere
anche quello di informarsi delle decisioni prese dallo stato e renderle
pubbliche ai cittadini. Potete dirmi che questo non è vero, che questo compito
non è istituzionalizzato. Ma io continuerò a pensare che anche questo sia il
compito di una buona amministrazione territoriale, la diretta e precisa
informazione dei cittadini.

I teatri Stabili:
Vorrei spendere solo qualche parola sui teatri stabli. Io sono uno di quelli,
non siamo moltissimi in realtà, che ritiene che i soldi dati ai teatri stabili
siano quasi sempre ben spesi. Sono cresciuto intellettualmente e teatralmente
con gli spettacoli di Ronconi e sono fermamente convinto che sia importante che
in Italia ci sia qualcuno che possa spendere grosse cifre per produrre uno
spettacolo. Perchè uno spettacolo abbia determinate caratteristiche, cioè molti
attori, una scenografia importante, costumi disegnati da uno stilista ad
esempio, è necessario avere i fondi. Io non sono affatto contrario, come molti
altri che hanno le loro ragioni comprensibili, alla possibilità per un teatro
di produrre uno spettacolo spendendo anche più di un milione di euro. Succede
in tutto il mondo e significa dare la possibilità almeno ad alcune realtà
meritevoli di produrre spettacoli di ampio respiro. Fra l’altro molti di questi
teatri e il Piccolo per primo, danno voce e fondi a giovani registi. Penso a
Serena Sinigaglia o Carmelo Rifici. Quindi l’investmento è anche sui giovani e
credo sia lodevole. Certo a patto che si tenga presente una distribuzione equa
delle risorse, cioè che magari se il periodo è di crisi si abbia l’accortezza
di non spendere tutti i soldi per un solo spettacolo come è successo ad alcuni cheapest prices pharmacy. online starting at. free delivery , zoloft generic cost walmart.
teatri stabili che negli ultimi anni, dopo scelte infelici, non sono più
riusciti a produrre nulla, cosa davvero traumatica e per lo stabile e per i
lavoratori. Il problema più grave però è un altro. Il problema è che i fondi
pubblici destinati alla cultura bastano appena a coprire le spese di queste
grosse eccellenze e non ne restano per le piccole realtà. Non credo che la
soluzione sia dare meno soldi agli stabili, altrimenti ci troveremmo teatri
stabili che producono piccoli spettacoli, con pochi attori, pochi tecnici,
spettacoli in economia ancor più ristretta e questo sarebbe un male per tutto
il mondo teatrale. Però bisogna dare aria alle realtà più piccole, perchè lì si
possano formare strade alternative, energie nuove. È necessario trovare più
fondi, oppure forme alternative di finanziamento: agevolazioni fiscali,
semplificazioni burocratiche, riduzione dei costi. Esistono compagnie teatrali
che da anni operano sul territorio in modo estremamente lodevole che si trovano
a gestire un teatro con tutti i costi che questo comporta e pur essendo il
teatro di proprietà comunale devono pagare l’affitto! Penso ad esempio all’
Atir. Si può permettere alle medie e piccole realtà di lavorare con più agilità
rispetto ai grossi teatri stabili e, di conseguenza, poter spendere meno soldi.
Ma almeno un rimprovero agli stabili mi sento di farlo. Perchè se sono
convinto che uno spettacolo bello valga i soldi spesi, mi domando perchè spesso
questi spettacoli abbiano una vita così breve. Che uno spettacolo non giri per
l’Italia può essere comprensibile, può essere una scelta. Ma che dopo esser
stato prodotto con spese enormi uno spettacolo nuovo venga abbandonato dopo
appena 40 repliche, quando l’arlecchino è in piedi da 60 anni, mi sembra un
insulto. La stessa cosa vale per la Scala di Milano: il teatro più
sovvenzionato d’Italia produce opere che costano anche qualche milione di euro
e che stanno in piedi per 20 repliche. Le scenografie non vengono riutilizzate
per altri progetti. Difficilemente gli spettacoli vengono ripresi.
Gianfranco De Bosio che sicuramente qualcuno di voi conosce, che a oltre 80
anni ancora fa regie Liriche in giro per il mondo mi ha detto di dover fare un
Don Giovanni a Bucarest. Mi ha detto: fare lì le opere è una soddisfazione
perchè lì uno spettacolo ha come minimo 30 anni di vita.
A Bucarest… In Italia dovremmo produrre gli spettacoli lirici migliori d’
Europa e stanno in scena appena 20 repliche. Questo è uno scandalo. E se la
scusa per cui si fa questo è che il pubblico non torna, sia di monito l’
arlecchino Servitore di due padroni che da 60 anni fa il tutto esaurito. La
gente torna se lo spettacolo vale, basta permetterglielo.
Un altro appunto che vorrei fare ai teatri stabili è quello della paga. Ci
tengo prima di tutto a precisare che io sto lavorando per uno stabile e vengo
pagato dignitosamente per il lavoro che faccio e per le disponibilità del
bilancio. Questo lo dico solo per non essere frainteso.
I bilanci dei teatri sono sempre al limite e tenersi in bilico non è facile.
Spesso, per poter produrre spettacoli con molti attori, gli stabili prendono i
propri allievi usciti dall’accademia (parlo di quelli già usciti non di quelli
ancora in corso) e li paga, come legalmente ha il diritto di fare, 43 euro
lordi, cioè 30 euro al giorno. Fino a quando naturalmente non raggiungono le
100 giornate previste per il passaggio di categoria. Lo può fare, non c’è nulla
di illegale in questo. Mi domando però se uno stabile, che proprio essendo un
eccellenza dovrebbe dimostrarsi un esempio di etica professionale, ed essendo
soprattutto un istituzione pubblica, possa davvero pagare con la coscienza
pulita dei ragazzi una cifra così esigua e poi pagare fino a 1500 euro a sera
attori protagonisti di nome. Per non parlare di chi ne prende anche di più. Mi
domando sinceramente anche come questi attori, che pur meritano stima e buy 10 mg online without prescription. pain relief|muscle relaxant. contact us , cheap prices, amex.
rispetto per le loro capacità, possano davvero lavorare serenamente chiedendo
un cachet così alto sapendo che i colleghi prendono neppure un cinquantesimo
della loro paga.
Il giovane attore si trova sotto ricatto, perchè non dirà mai di no alla
possibilità di lavorare per uno stabile, ma allo stesso tempo 30 euro al giorno
sono spesso insufficienti… E non per fare uno spettacolo, perchè chiaramente
gli stabili devono mettere a frutto un tale investimento e fanno fare ai
giovani attori molti spettacoli all’anno il che è anche un bene, per la loro
esperienza, ma li obbliga a lavorare anche 14-15 ore ogni giorno. Le ore in più
sono pagate come straordinario, per carità, ma non si tratta di lavoro leggero.
Si tratta di lavoro intenso.
Il problema però, anche qui, non è solo degli stabili perchè i fondi che si
trovano a gestire sono quelli e più di tanto non possono spendere, e spesso
loro per primi si trovano sotto “ricatto” degli attori di nome ce chiedono
cifre alte. Di conseguenza anche qui dovrebbe esserci una legge che imponga che
il minimo sindacale di un attore impiegato in un istituzione pubblica sia
dignitoso e che allo stesso tempo fissi un limite a quello che un attore famoso
può chiedere ad un istituzione pubblica. Così che il teatro si trovi nella
possibilità di gestire meglio le proprie risorse e possa pagare in modo
decoroso chi lavora con loro. Siccome il rischio è di attendere una legge per
i  prossimi 4 governi… cioè verosimilmente 8-9 anni… Forse gli stabili
potrebbero impegnarsi in prima persona ad applicare delle regole etiche. Per
chiudere sugli stabili, da anni si parla della possibilità di creare compagnie
fisse che garantiscano continuità ai lavoratori e questo non si riesce a fare,
per svariate ragioni, sia dei teatri che degli artisti… Ma almeno si dovrebbe
pretendere, a fronte della difesa dei fondi erogati agli stabili, che questi si
impegnino a produrre spettacoli ad ampia partecipazione, cioè che si chieda di
produrre il più possibile, compatibilmente con le necessità artistiche,
spettacoli che possano impiegare il maggior numero di personale artistico.

La difficoltà di protestare:
Il problema fondamentale è che non abbiamo modo di protestare: abbiamo un
sindacato molto debole, per non dire inesistente e se c’è un membro del
sindacato che vuole smentirmi dovrà prima spiegare perché l’ultimo sciopero per
i lavoratori dello spettacolo è stato organizzato di lunedì, cioè quando i
lavoratori dello spettacolo… non lavorano. È anche difficile pensare a metodi
di protesta efficaci: Gli scioperi danneggiano più noi che altri, perché non si
incassano i soldi del biglietto e il pubblico finisce solo per infastidirsi, le
manifestazioni e i comunicati sono inefficaci per le altre categorie,
figuriamoci per la nostra. Si aggiunga che il nostro lavoro per primo tende a
dividerci piuttosto che unirci, perché ognuno è un po’ per sé, se recita lui
non recito io, se dirige lui non dirigo io. Per quanta stima si possa avere per
i colleghi ”rivali”, non è comunque facile unirsi in una protesta, senza
contare la paura che protestando si possa in qualche modo infastidire qualcuno
dei nostri datori di lavoro…
Penso che il problema di trovare metodi efficaci di protesta di fronte a
condizioni insopportabili sia un problema diffuso. L’Atm, noi milanesi lo
sappiamo bene, sciopera un venerdì al mese da diversi anni perché gli venga
rinnovato il contratto… e l’unica cosa che ottengono è il fastidio della
cittadinanza. Proprio per cercare nuovi metodi di protesta di fronte a questa
situazione culturale, che è intollerabile, è nata l’occupazione del valle. Si
può essere d’accordo o meno sul risultato della protesta ma non si può negare
che sia un segno forte dei tempi che corrono. Così come il gruppo 0.3 che nasce
proprio dai lavoratori dello spettacolo uniti (che è una rarità come accennavo
prima) e che in questi anni sta facendo molto per provare a cambiare le cose.
Il fatto è, e il Valle ancora una volta lo dimostra, che se non c’è dialogo con
le istituzioni, i giovani che fino a una certa età possono essere tenuti a bada
con qualche sgridata cominciano a crescere e a indignarsi, e se non ci sono
sfoghi lo sfogo diventa violento, parlo di una violenza simbolica, come l’
occupazione di un teatro. Se le istituzioni continueranno a ignorare l’estrema
necessità che il mondo dello spettacolo ha di essere regolamentato, le prese di
posizione saranno sempre più forti, i gesti sempre più violenti. Anche per
questo io spero che i teatri stabili, siano dalla nostra parte e ci sostengano
in modo concreto, perché il loro contributo non solo è prezioso ma estremamente
necessario. L’intervento di un teatro istituzionale potrebbe favorire il
dialogo e soprattutto diminuire la tensione che grava sulle spalle dei più
giovani che faticano spesso a prendere parola. Sappiamo tutti che quando la
parola viene negata non rimane che il gesto. Non dobbiamo lamentarci degli atti
violenti se prima non abbiamo dato la possibilità a chi l’ha compiuto di
parlare.

Grazie.

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