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Costa Rica: divieto totale di caccia

Il Costa Rica è il primo paese in America Centrale ad aver varato una legge che impone il divieto totale alla caccia.
La nuova normativa, fornirà alla fauna del paese una protezione aggiuntiva.
L’economia del Costa Rica dipende in gran parte dal turismo. I parchi nazionali del paese, di fama mondiale, attirano oltre 300’000 turisti l’anno.

Si tratta principalmente di grandi predatori come il giaguaro, scimmie, tapiri, le tartarughe. Ma molti animali sono trofei ambiti per i cacciatori.
I cacciatori che violano la legge potranno essere multati fino a $ 3’000.
Il Costa Rica è uno dei paesi con la più alta densità di biodiversità sulla terra.
La nuova legge vieta ora la caccia come sport o svago, ma lascia che i gruppi indigeni possano continuare ad esercitarla a scopo nutrizionale.
La pesca sportiva è però ancora consentita.

qui il link all’articolo originale
qui il link ad un articolo dell’HP sull’argomento

Scuola – Gli insegnanti che non abbassano la testa

Sono un insegnante, e sono orgoglioso di appartenere alla stessa categoria degli umani notevoli che hanno scritto queste parole. Sono al loro fianco!

MOZIONE DEL LICEO CLASSICO “TITO LIVIO”
A SOSTEGNO DEI PRECARI E DELLA LOTTA PER LA SCUOLA PUBBLICA

QUESTO E’ IL DOCUMENTO EMANATO DAL COLLEGIO DEI DOCENTI DEL TITO LIVIO DI MILANO:

Martedì, 11 settembre 2012

MOZIONE DEL COLLEGIO DEI DOCENTI DEL LICEO CLASSICO STATALE “Tito Livio” di Milano.

Il collegio docenti del liceo classico “Tito Livio” esprime, anche alla luce degli artt. 1, 2, 3, 4, 9, 21, 33, 34, 35, della Costituzione della Repubblica Italiana, la propria solidarietà e il proprio sostegno ai docenti e ai lavoratori ATA precari impegnati, in questi giorni, nelle manifestazioni per i pesanti tagli agli organici e per gli imminenti bandi di concorsi-truffa determinati dai recenti provvedimenti legislativi di contenimento della spesa pubblica e di riforma dell’ordinamento scolastico. I docenti di questo Liceo riconoscono il legittimo diritto del personale precario alla continuità lavorativa e alla stabilizzazione del proprio rapporto di lavoro, considerato anche che la maggior parte dei docenti e dei lavoratori precari ha accumulato numerosi anni di incarichi a tempo determinato, assolvendo una funzione indispensabile per la scuola pubblica italiana e maturando una notevole esperienza, che non va dispersa.

Il collegio ritiene che non puo’ essere mantenuto per mero sfruttamento l’esercito di riserva del precariato (a cui si sta tentando di scippare anche il vitale diritto al pagamento delle ferie non godute), anche a costo di penalizzare, oltre che il personale docente, l’intero sistema dell’istruzione pubblica, a danno soprattutto degli stessi studenti: classi-pollaio, negazione del diritto al sostegno (in cui sono coinvolti persino gli insegnanti “in esubero” costretti a riciclarsi in insegnanti di sostegno), docenti ingenerosamente dichiarati “inidonei” e declassati a personale non docente dopo anni di servizio nelle classi, sistemi di “valutazione” di studenti, insegnanti e scuole attraverso “test” che degradano la didattica virtuosa, tentativi di privatizzare la scuola con la riesumazione di fossili legislativi sotto mentite spoglie.

Il collegio, in sostegno alla mobilitazione dei docenti precari, considera i concorsi quali quelli che saranno banditi il 24 settembre p.v. e, a sorprendente brevissima distanza, nella prossima primavera, strumenti speciosi che in nome della “meritocrazia ” e delle “giovani risorse” cancellano di fatto diritti e graduatorie di precari storici e di neolaureati (estromessi primi dalla scuola e esculsi i secondi dal concorso) e in realtà subornano modelli di reclutamento su base regionale e soprattutto d’istituto per chiamata del preside, mentre e’ necessario mantenere garanzie di trasparenza e di obiettività.

Il collegio auspica che si abbia chiara la situazione di comune sofferenza della scuola pubblica nel suo insieme e percio’ che da parte di tutti i suoi attori si sappiano individuare le cause reali e le necessarie soluzioni, ponendo fine per esempio a questo genere di concorsi, alla fittizia differenza tra organico di fatto e di diritto, e dunque alla discriminazione professionale, e istituendo strumenti di seria valutazione di conoscenze e competenze del futuro docente.

Infine, non condividiamo l’ideologia di chi considera la scuola pubblica un inutile peso per l’erario, di chi le sottrae risorse nel momento stesso in cui destina denaro alle scuole private e alle spese militari, di chi intende limitare il diritto al lavoro, il diritto all’istruzione, il diritto al pluralismo e alla libertà di pensiero. Siamo al contrario convinti che proprio gli adeguati maggiori investimenti nello strategico settore della formazione dell’istruzione della cultura e della ricerca, come avvenuto nei piu’ illuminati paesi d’Europa, contribuirà all’uscita dalla crisi che tumultua in occidente.

Difendiamo e riaffermiamo il diritto inalienabile di esprimere la nostra opinione liberamente, perché l’attuale strategia di dismissione della scuola pubblica ci riguarda come docenti, come lavoratori, come genitori, come cittadini.

In concreto, per cominciare, ci assumiamo l’impegno e invitiamo i docenti di tutta Italia a non accettare cattedre composte con ore eccedenti le diciotto, onde non permettere l’ulteriore perdita di posti di lavoro, il degrado della qualità della nostra professione, il surrettizio tentativo di aumentare a costo zero l’orario lavorativo dei professionisti dell’istruzione.

Tanto si dichiara da parte di questo collegio come lavoratori della scuola, come donne e uomini impegnati nella promozione sociale e culturale delle nuove generazioni e come cittadini della Repubblica.

ci declassano per comprarci sottocosto

L’obbiettivo sono i gioielli di famiglia. Chi non lo ha capito dedichi il suo tempo libero ai fumetti. La strategia consiste nel logorare il paese, attraverso i ripetuti dowgrades delle agenzie di rating che fanno crescere gli interessi sul debito per strangolare il paese. I riflessi sono le continue cadute di valore dei nostri assets. Quando questi (ENEL, ENI, FINMECCANICA …..) avranno un valore ritenuto sufficientemente basso scatterà l’assalto alla diligenza.Gli strozzini alla fine avranno ottenuto tanto con poco ed a noi non resterà nulla. Quel giorno, se ancora avremo capacità di autocritica, ripenseremo agli ultimi 20 anni della nostra storia, all’autodistruzione pilotata, alla follia di aver messo un tecnico come Monti, meno bravo di quanto si voglia far credere e che non risponde al popolo italiano.Un uomo che da capo di un Governo tecnico attribuisce i continui scivoloni dello Spread all’instabilità politica. Ma se ci fosse stabilità politica avremmo un governo tecnico? O è scemo lui o siamo schemi noi!!!!

…per approfondire il concetto

petizione per salvare il Polo Nord

Firma la petizione (qui il link) di Green Peace (compilando il modulo…15 secondi!) per chiedere ai leader del mondo di creare un santuario globale al Polo Nord e di vietare le perforazioni petrolifere e la pesca industriale nelle acque dell’Artico.

parmigiano per aiutare i terremotati

parmigianoSalve a tutti,
qui siamo vivi e vogliamo andare avanti…..
chiediamo a tutti non una mano, ma l’opportunità di rialzarci con il nostro lavoro…..
la mia STALLA, come altre venti , porta il latte alla COOPERATIVA SOCIALE  LA CAPPELLETTA ,grazie alla quale produciamo centinaia di forme al giorno di PARMIGIANO REGGIANO: che è simbolo della nostra tradizione e con grande sforzo anche oggi vorremmo continuare a farlo.
A causa del sisma,il magazzino di stagionatura ha subito gravi danni come potete vedere dalle foto che vi allego.
Per poter ripristinare il magazzino è necessario vendere il parmigiano.
Con questa e-mail chiediamo la vostra comprensione , solidarietà ma soprattutto un aiuto.
Io inizio la raccolta di tutti gli ordini di chi volesse acquistare il nostro parmigiano .
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Italia: finita la democrazia. Potere alle banche!

Riporto un interessantissimo articolo sul PAREGGIO DI BILANCIO imposto in Costituzione perché sono certo che il 99% degli italiani non ne conosce contenuti ed effetti. E’ un invito alla riflessione. Alla fine si potrà sempre dire …. “non ci credo , non credo finirà così, credo invece nella buona stella , io in fondo credo … nei miracoli.”

Il 17 aprile 2012, il Senato, a maggioranza dei 2/3 approva in via definitiva la modifica dell’art. 81 della Costituzione. Viene introdotto il pareggio di bilancio.
Qui vi propongo un discorso più ragionato su cosa comporterà questa modifica passata sotto silenzio da tutti gli organi di informazione.

Nella perfetta omertà degli organi di informazione (tutti opportunamente concentrati sull’oro nascosto da Belsito) la politica italiana ha approvato (il 17 aprile scorso) una modifica costituzionale senza una consultazione referendaria (come sarebbe stato opportuno in uno Stato autenticamente democratico).
Purtroppo però siamo in Italia. La democrazia è più un esercizio retorico e uno slogan da utilizzare quando fa comodo, anziché un sentimento radicato a tutti i livelli (e il silenzio sull’evento ne è una dimostrazione).
Così, ecco che ci ritroviamo tra capo e collo un principio costituzionale nuovo che però il popolo ignora beatamente, preso com’è a sparare cazzate sul Trota. Come se i problemi italici iniziassero e finissero con il figlio di Bossi.

Ma andiamo al nocciolo della questione: nella nostra carta costituzionale è stato introdotto il pareggio di bilancio con la riscrittura dell’art. 81 della Costituzione.
Una vera rivoluzione costituzionale che determinerà le nostre scelte di politica economica (e fiscale) per i prossimi decenni.
Ecco cosa recita il nuovo art. 81 della nostra Costituzione:
Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.

La norma impone l’equilibrio tra le entrate e le uscite. Come ho già detto, si spende quanto si incassa. Per carità, il principio di per sé appare apprezzabilissimo.
Ma c’è un ma. Lo Stato non è un’impresa o una famiglia.
Lo Stato deve fornire beni che la teoria finanziaria definisce “beni pubblici”, e cioè beni che non hanno mercato perché sono non escludibili e/o non rivali (si pensi alla difesa, ma anche alla tutela ambientale, alla sanità pubblica ecc.). Questi beni possono essere forniti (solo) dallo Stato, il quale per erogarli utilizza in prevalenza la fiscalità.
Ciò detto, ci si pone un problema. Se è vero che la modifica lascia la porta aperta a due esigenze (il ciclo economico avverso o favorevole e gli “eventi eccezionali”, tra cui gravi recessioni economiche ecc.) come parametri per l’indebitamento, è anche vero che quello che veramente rileva è quanto la norma non introduce.
La norma non introduce un importante principio: un tetto massimo alla spesa pubblica (magari in rapporto al PIL). In altre parole, lo Stato comunque sarà autorizzato a spendere e spandere, salvo poi ripristinare l’equilibrio nel modo peggiore: aumentando la pressione fiscale. Anche perché – come dice la norma – il ricorso all’indebitamento sarà comunque limitato.

Ma l’aspetto peggiore del “colpo” non riguarda solo l’equilibrio (e dunque il pareggio di bilancio) o i limiti all’indebitamento, ma riguarda anche l’obbligo per gli enti e le amministrazioni pubbliche di conformarsi alle norme europee affinché venga rispettato l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico (sono per questo state apportate modifiche sia all’art. 97 Cost. e all’art. 119 Cost.).
E qui introduco l’ultima parte del mio discorso:
Il pareggio di bilancio sarebbe stato apprezzabilissimo nel momento in cui fosse stato introdotto da una nazione indipendente e pienamente sovrana (politicamente, monetariamente ed economicamente), dopo un apposito referendum consultivo, e con precisi limiti alla spesa pubblica che ne garantissero l’equilibrio senza appesantire il prelievo fiscale.
Questo non è stato fatto.
Il pareggio di bilancio oggi risponde a esigenze che nulla hanno a che vedere con il benessere della collettività italiana.
Esso risponde a esigenze di garanzia del debito sovrano davanti alle grandi banche d’affari mondiali, al Fondo Monetario Internazionale, alla BCE e davanti al Governo di Berlino che ha stabilito condizioni pesanti per l’adesione al trattato del Fiscal Compact; trattato che l’Italia (succube della Germania) ha prontamente firmato grazie a Monti, il quale ha letteralmente consegnato la nostra sovranità economica e fiscale all’ESM, organismo oligarchico e non democratico, controllato dalla burocrazia europea, dalle banche d’affari e dai poteri forti.

Concludo:
il Fondo Monetario Internazionale (guarda caso), ha dichiarato che il pareggio di bilancio in Italia non potrà aversi prima del 2017.
Sapete cosa significa questo? Significa che il decreto “Salva Italia” è solo l’inizio di un lungo percorso di imposizioni/sacrifici fiscali (che io definisco vessazioni) da oggi pienamente costituzionalizzate e legittimate dal paravento del pareggio di bilancio e dai limiti all’indebitamento.
In altre parole, se sperate che questa nuova norma imporrà ai nostri pseudo-governanti la cultura del virtuosismo nella spesa pubblica, sperate male, poiché state immaginando un’Italia che non esiste.

(articolo originale su Il Jester.it)

Passamano (Bz): il primo negozio dove non si paga

Un negozio senza casse.
Uno spazio in cui il denaro non vale nulla.
Un luogo dove gli oggetti non hanno prezzo.
E’ spuntato dal nulla lo scorso sabato a Bolzano, precisamente in Via Rovigo, 22/C e si chiama “Passamano”: é il primo “non-negozio” in Italia basato unicamente sulla filosofia del recupero e del riutilizzo, dove le “cose” valgono tanto quanto servono.

Si entra, si sceglie e si va via senza pagare: é questa l’ultima frontiera dello shopping equo sostenibile, un progetto partorito da un gruppo di volontari che non ricevono compenso e chiedono solo una libera offerta facoltativa per coprire le spese fisse del negozio o di lasciare – se si vuole – qualcosa in cambio del proprio “acquisto”.
Non si tratta di vero e proprio baratto, perché chi prende un oggetto da “Passamano” non è obbligato a cederne uno in cambio.
Certo, se tutti prendono e nessuno porta, il gioco finisce subito… Per questo il destino dell’iniziativa è in mano alle persone, ai clienti, ai partecipanti in qualsiasi modo li si voglia chiamare.
Ci sono cose che è più facile regalare che vendere – spiega Andrea Nesler, uno dei volontari – quando un oggetto ha un valore affettivo è difficile stabilirne il prezzo di vendita, si rischia di svalutarlo, e allora è meglio regalarlo. Così, un ex sciatore è venuto e ci ha consegnato tutta la sua attrezzatura sportiva, perché ha un problema alla schiena e non può più scendere in pista. È venuto e ci ha raccontato la sua storia.
Non solo shopping, quindi, ma anche luogo di socializzazione: “Passamano” è, infatti, anche un info-point dove condividere idee e conoscenze sul consumo consapevole, il riciclaggio e il riutilizzo , ma anche la cucina vegana e vegetariana, l’animalismo, l’eco-architettura, il turismo responsabile ecc.

I suoi locali ospitano anche una biblioteca, una sala riunioni con 30 posti a sedere e proiettore per serate e incontri a tema e un laboratorio condiviso, dove si puó apprendere a creare oggetti di abbigliamento o di design con ció che non ci serve piú o offrire il proprio tempo libero per lavorare come volontario o mettere a disposizione degli altri le proprie abilità e conoscenze (lingua, artigianato, cucito ecc).

L’idea – spiega Gaia palmisano, una delle volontarie – nasce nell’ambito del movimento “Transition Town” fondato dall’inglese Rob Hopkins.
L’obiettivo finale – aggiunge – é creare una dimensione partecipativa con metodi che lasciano spazio alla creatività individuale.
In parole povere: l’antitesi di un negozio!

Mali: caos e possibile colpo di stato

Il Mali è nel caos politico.
Dopo una notte di rivolta poco violenta (ad oggi risulta solo 1 morto e poche decine di feriti), i militari della capitale (Bamako) dichiarano di aver preso il controllo della nazione spodestando il capo di stato Amadou Toumani Touré regolarmente eletto nel 2002 e 2007 ma accusato di incapacità, incompetenza e, soprattutto, debolezza nel combattere i violenti (decine di migliaia di omicidi) gruppi indipendentisti Tuareg e Ansar Din ai remoti confini Azawad (a Nord e Nord-Est del paese).

Il Mali è appunto un paese storicamente debole contro il traffici illegali e contrabbando e un governo forte sarebbe un bene per l’intera comunità internazionale. Comunque, la rivolta, è stata condannata unanimemente dai governi occidentali compresa l’UE.

…qui qualche link alla rassegna stampa sulla notizia per vari ed eventuali approfondimenti:
Panorama.it
LaStampa.it
BBC.co.uk
Guardian.co.uk
HuffingtonPost.com
MISNA.org 1
MISNA.org 2
MISNA.org 3
AlJazeera.com
Internacional.com

Col consumo cresce anche lo scarto…anche in Africa!

L’ambiente e la salute umana stanno registrando i primi impatti negativi della crescita esponenziale del settore dell’informatica e della telefonia mobile: nel 2017 la quantità di rifiuti elettronici ed elettrici prodotti dall’Africa supererà quella dell’Europa.

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I dati relativi alla situazione attuale sono preoccupanti: un recente studio pubblicato dal Programma Onu per l’ambiente (Unep) rivela che l’85% dei rifiuti proviene dal consumo sui mercati interni africani e il rimanente 15% giunge dall’estero, soprattutto dal vecchio continente, in particolare da Francia, Germania e Gran Bretagna. Le quantità di scarti aumentano di pari passo con l’acquisto di beni tecnologici da parte dei consumatori africani: in un decennio il numero di utenti della telefonia mobile si è moltiplicato per 100 e quello dei possessori di un computer per dieci. Ogni anno, da soli, cinque paesi dell’Africa occidentale – Benin, Costa d’Avorio, Ghana, Liberia e Nigeria – producono tra 650.000 e un milione di tonnellate di rifiuti elettronici.

Al di là dei danni a medio e lungo termine per gli ecosistemi locali, nell’immediato pone problema il contatto diretto degli abitanti, stabiliti nelle vicinanze delle discariche a cielo aperto, con sostanze nocive alla salute umana. La ricerca svolta dall’Unep conferma che la raccolta, la riparazione e la rivendita di questi pericolosi rifiuti rappresentano una vera e propria attività lavorativa che impegna anche minorenni, in cerca di materiali preziosi (oro, rame o argento) contenuti nei prodotti elettronici fuori uso. Sulla base di alcuni dati della ricerca emerge che a Accra (Ghana) e Abuja (Nigeria) almeno 30.000 persone sopravvivono grazie ai ‘tesori’ raccolti nelle discariche. Esperti in questioni ambientali e sanitarie suggeriscono ai governi coinvolti di istituire strutture ‘ufficiali’ per limitare i danni ed esercitare maggiore controllo sulle attività di trattamento dei rifiuti svolte finora in modo informale.

Per cercare di arginare il fenomeno in continua espansione, l’Unione internazionale delle telecomunicazioni (Uit) e l’agenzia Onu per le tecnologie dell’informazione hanno appena firmato con il segretariato della Convenzione di Bâle – che dal 1992 vieta la circolazione di rifiuti pericolosi –un accordo per controllare i movimenti transfrontalieri.

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Africa orientale: la politica lavora e l’economia migliora

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Il segretario generale, , ha definito la decisione “un passo decisivo verso l’eliminazione delle misure che ostacolano il commercio e l’integrazione regionale”.

Secondo il quotidiano “”, una delle decisioni chiave adottate dai ministri degli Esteri dei cinque paesi membri dell’Eac nella città keniana di Mombasa riguarda l’obbligo per la Tanzania di abolire la tassa da 200 dollari prevista per l’ingresso dei tir nel territorio nazionale.

L’imposta era considerata uno degli ostacoli alla realizzazione del mercato comune dell’Africa orientale previsto da un trattato in vigore dal 1° luglio 2010. I dazi colpivano in modo particolare il Kenya, l’economia più forte dell’area, e avevano spinto il mese scorso il governo di Nairobi ad adottare contromisure penalizzanti per le esportazioni della Tanzania.

A Mombasa è stata anche decisa la riduzione del numero dei controlli sui camion in transito attraverso le frontiere; controlli che Uganda, Burundi e Rwanda – gli altri tre paesi membri dell’Eac oltre Kenya e Tanzania – saranno aboliti del tutto.

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