Mese: Ottobre 2010

Discorso di Steve Jobs ai neolaureati di Stanford

Steve Jobs è uno dei due creatori di Macintosh e presidente della Apple, questo il suo discorso ad alcuni neolaureati di una delle migliori università del mondo:

Class Action inutilizzabili in Europa

A dirlo è Viviane Reeding in persona, commissaria UE Giustizia e Libertà civile, che ha addotto a motivazione della decisione l’ attuale crisi economica. Un annuncio che ha causato un terremoto nel mondo dei consumatori, che aspettano da più di 15 anni una legislazione di risarcimento collettivo a livello comunitario. La class action è considerata lo spauracchio delle grandi aziende perché in grado di metterle sullo stesso piano dei singoli cittadini davanti ad una corte di tribunale.

Negli Stati Uniti d’ America, dove la class action è in vigore dal 1965, migliaia di cittadini hanno ottenuto risarcimenti milionari da multinazionali come General Motors, Chevrolet Corvait, Ford e Philip Morris.
Proprio alcuni rappresentati dell’ industria statunitense, secondo quanto riferito dalla Reeding, hanno sconsigliato alla Commissione di introdurre una simile legislazione in Europa in tempo di crisi, pena la contrazione degli investimenti nel vecchio continente.
Pessima la reazione dei consumatori che hanno parlato di «illegittima intromissione statunitense».
Monique Goyens, direttore generale Beuc (The European Consumers’ Organisation), ha mandato una lettera di protesta alla Reding e al presidente della Commissione Barroso, ricordando che «la stessa Commissione ha stimato che in Europa i danni ai consumatori dovuti a pratiche commerciali scorrette vanno dai 25 ai 69 miliardi di euro l’anno».
La stessa Commissione aveva redatto negli anni passati un Green Paper che faceva tesoro dell’ esperienza positiva di alcuni Stati membri dove una forma di class action è già in vigore, come in Spagna, Portogallo e Svezia.
In Italia la class action, introdotta dal Governo Prodi a fine del 2007 e modificata dal Governo Berlusconi, rappresenta, secondo le associazioni dei consumatori , un’ arma completamente spuntata.
«La mancanza di retroattività, di sanzioni punitive, gli alti costi di attivazione e la mancanza di possibilità per le associazioni di adirne l’ inizio, la trasformano in una class action all’italiana», afferma Monica Multari, presidente del Movimento Consumatori Verona.
Infatti la class action così come introdotta nell’ ordinamento italiano non può essere usata per risarcire i risparmiatori vittime dei crack Cirio, Parmalat e Lehman Brothers.
Ad ogni modo, la levata di scudi dei consumatori di tutta Europa potrebbe indurre la Commissione a tornare sui propri passi e a rilanciare le consultazioni.
Ma anche in questo modo l’ introduzione effettiva della class actrion a livello europeo subirebbe un ritardo rilevante.

Il male è assenza di Dio nel cuore degli uomini

Alcuni cercano di dimostrare che la fede è un mito sostenendo che se Dio ha creato tutto quello che esiste, Dio ha fatto anche il male, visto che esiste il male! E se stabiliamo che le nostre azioni sono un riflesso di noi stessi, Dio è cattivo!

Si dice che Albert Einstein al riguardo parlò circa così:

…il freddo non esiste:
secondo le leggi della Fisica, quello che consideriamo freddo, in realtà è l’assenza di calore.
Ogni corpo o oggetto lo si può studiare quando possiede o trasmette energia; il calore è quello che permette al corpo di trattenere o trasmettere energia.
Lo zero assoluto è l’assenza totale di calore; tutti i corpi rimangono inerti, incapaci di reagire, però il freddo non esiste.
Abbiamo creato questa definizione per descrivere come ci sentiamo quando non abbiamo calore.

…neppure l’oscurità esiste:
l’oscurità, in realtà, è l’assenza di luce.
La luce la possiamo studiare, l’oscurità, no. Attraverso il prisma di Nicol, si può scomporre la luce bianca nei suoi vari colori, con le sue differenti lunghezze d’onda. L’oscurità, no.
Come si può conoscere il grado di oscurità in un determinato spazio? In base alla quantità di luce presente in quello spazio.
L’oscurità è una definizione usata dall’uomo per descrivere il grado di buio quando non c’è luce.

…il male esiste? …vediamo stupri, crimini, violenza in tutto il mondo ma il male non esiste, o per lo meno non esiste da se stesso.
Il male è semplicemente l’assenza di bene.
Conformemente ai casi anteriori, il male è una definizione che l’uomo ha inventato per descrivere l’assenza di Dio.
Dio non creò il male… Il male è il risultato dell’assenza di Dio nel cuore degli esseri umani.
Lo stesso succede con il freddo, quando non c’è calore, o con l’oscurità, quando non c’è luce.

Giorgio Bettinelli

Giorgio Bettinelli…un vero italiano vero cittadino del mondo.
A cavallo della Vespa ha fatto 2 volte il giro del mondo!…sul serio!
Chilometro dopo chilometro ha scritto quattro magnifici libri di viaggio…tutti da leggere:
1997) Da Roma a Saigon
2002) Brum brum
2005) Rhapsody in black
2008) La Cina in Vespa

Qui di seguito il suo “curriculum” di viaggiatore. Dal suo ultimo libro:

Nel maggio del 1992, a Bali, mi viene regalata una vecchissima Vespa, e da quel giorno la mia vita, che ormai programmavo tranquilla e stanziale in quel villaggio sulla costa est dell’isola, è cambiata dal giorno alla notte, ha subito uno scossone violento di quelli che portò può dare soltanto una storia d’amore o una supervincita al Totocalcio o un’improvvisa follia…
Da allora, dopo un breve apprendistato scooteristi tra Giava e Sumatra e
1) un viaggio dall’Italia al Vietnam (24.000 km in sette mesi),
2) c’è stato un secondo raid in Vespa, dall’Alaska alla Terra del Fuoco (36.000 km in nove mesi);
3) poi un terzo da Melbourne a Città del Capo (52.000 km in un anno esatto);
4) e poi ancora un quarto viaggio dalla Terra del Fuoco alla Tasmania via terra (144.000 km in tre anni e otto mesi no-stop).
E così i chilometri complessivi macinati dalle mie Vespa (a volte con lentezza esasperante, a volte con velocità da crociera e poche altre a tutto gas), sono diventati 256.000 tondi tondi.
In 134 nazioni diverse, alcune delle quali attraversate tre volte in tre rispettivi viaggi, come Iran, Pakistan, India e Thailandia.
Più di sei volte la circonferenza dell’equatore e due volte tutti i continenti, con la sola esclusione dell’Antartide.

Tristemente Giorgio è morto a fine 2008 in Cina in circostanze poco chiare (non viaggiando!).
Stava scrivendo del Tibet…Nazione talmente unica da meritare un libro intero.

SCUOLA – modelli europei di sistemi scolastici

Modelli europei di sistemi scolastici

Esistono quattro modelli di sistemi educativi, presenti in Europa, secondo un’utile tipologia realizzata dalla studiosa in Sociologia della Scuola Francine Vaniscotte. Ben lontani dal sostenere che esiste una ed un’unica soluzione, migliore delle altre sempre in tutto e per tutto, il modello scandinavo appare sotto molteplici punti di vista come quello che andrebbe preso come termine di riferimento. Tale affermazione è supportata anche dai risultati ottenuti attraverso le ricerche centrate sulla valutazione internazionale delle competenze acquisite dagli studenti (PISA – Programma per la valutazione internazionale dell’allievo – Programme for International Student Assessment). Va però evidenziato che, limitatamente al primo ciclo scolastico (Scuola Primaria o Ex Elementare), nelle ultime 6 valutazioni internazionali i migliori risultati sono stati ottenuti dalla Scuola Italiana pre-riforma!

Tipo scandinavo: la scuola unica

Questo modello (presente in Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia) si pone come obiettivo prioritario la maggior eguaglianza di opportunità, fornendo a tutti i bambini la stessa preparazione fino ai 16 anni di età, cioè per tutto l’obbligo scolastico. Si tratta di una scuola unica nel senso che tutti gli studenti, nella stessa scuola, ricevono il medesimo insegnamento, da un gruppo di docenti che, per quanto possibile, rimane lo stesso per tutto il periodo. In questo modo si cerca di assicurare la massima continuità pedagogica: solo alla fine del percorso è possibile scegliere qualche disciplina diversa e vengono date valutazioni (da 1 a 5). Inoltre si vuole ottenere che tutti i ragazzi, al termine, raggiungano le stesse conoscenze di base che sono connesse, appunto, al significato dell’obbligo scolastico: i saperi necessari ad una cittadinanza piena, per potersi inserire in modo idoneo in una società democratica. In quest’ottica le votazioni (e le conseguenti bocciature) non hanno significato: non vi è insuccesso scolastico e i risultati vanno nel senso di una buona uguaglianza di acquisizioni scolastiche generalizzate, con livelli qualitativi elevati; sembra, perciò il modello più idoneo a realizzare una scuola «giusta ed efficace», come del resto confermano le comparazioni internazionali.

Tipo anglosassone: la scuola polivalente

È il modello dell’Inghilterra, del Galles, dell’Irlanda del Nord, della Scozia e, con qualche differenza, della Repubblica d’Irlanda. La Comprehensive School (scuola polivalente) invece di unificare primario e secondario inferiore, ricerca una continuità tra quest’ultimo e il secondario superiore, con programmi che si possono scegliere da parte di allievi e famiglie, ora però più limitatamente, poiché nel 1988 è stato definito un National Curriculum. In Inghilterra permane un piccolo numero di scuole tradizionali, che mantengono la vecchia distinzione fra Grammar Schools, Modern Schools e Techical Schools, alle quali accedono i bambini delle “famiglie bene”. Il sistema del tutorato costituisce il principale supporto al miglior funzionamento, in termini di eguaglianza e qualità del sistema. Il docente tutore guida l’allievo nel suo percorso scolastico, si preoccupa che l’insegnamento sia differenziato e perfino individualizzato ed aiuta i bambini in difficoltà (in Scozia vi è la figura del docente itinerante, che assicura sostegno aiutando colleghi e allievi che ne hanno bisogno). Anche in questo caso, pur procedendo a valutazioni degli allievi, non sono previste ripetenze: pur con una struttura diversa vi è un’“aria di famiglia” con il modello scandinavo, che deriva probabilmente dalla comune religione protestante (Irlanda esclusa, ovviamente).

In Scozia il decentramento, già tipico di questo sistema, rimane più ampio, non essendo, tra l’altro, stato adottato il curriculum nazionale.

Tipo germanico: gli indirizzi separati

Questo modello, presente in Austria, Germania, Lussemburgo, Olanda, Svizzera e, con differenze, in Belgio, mantiene la tradizionale suddivisione in tre indirizzi. Negli ultimi anni alcuni paesi hanno cominciato a preoccuparsi di una suddivisione degli studenti così precoce (all’inizio della secondaria inferiore, come era in Italia prima del 1962) e cercano di sviluppare un sistema di passerelle fra gli indirizzi. L’opzione fra indirizzi differenziati rimane comunque il fondamento di questo modello, che ha in Germania la sua massima espressione. Il bambino tedesco, entrato nella scuola a 6 anni, dopo 4 anni di studio (con qualche differenza secondo i Landers), deve scegliere che strada intraprendere, anche se, teoricamente, sarebbero ancora possibili delle passerelle fra i 10 e i 12 anni di età. Oltre un terzo accede alla formazione corta (Hauptschule), seguita da una preparazione professionale che introduce al lavoro, con una alternanza con periodi di studio, fino ai 18 anni (è il sistema duale, tanto ammirato in Italia, ma, oggi, messo in discussione nella stessa Germania, perché, con la crisi economica succeduta all’unificazione, le imprese non sono più in grado di offrire abbastanza stages formativi e la disoccupazione è molto aumentata). Un quarto dei ragazzi va verso una scuola media (la Realschule), che permette di accedere ad una formazione superiore, però solo di tipo non universitario. Un poco più di un quarto degli studenti si iscrive alla scuola secondaria generale (il Gymnasium), per seguire un curricolo che lo condurrà agli studi universitari. La logica di questo modello è opposta a quella dei sistemi scandinavi: in questi ultimi si vuole portare tutti i ragazzi allo stesso livello a 16 anni, con ancora tutte le strade aperte, mentre in Germania l’orientamento molto precoce porta ad una situazione che, se dà assicurazioni sul futuro, le fornisce con modalità fortemente condizionate dall’estrazione sociale. Certo l’insuccesso scolastico non costituisce un problema, visto che gli studenti vengono quasi subito suddivisi in livelli differenziati, partecipando a scuole che richiedono prestazioni molto diverse. L’autonomia scolastica, nonostante il decentramento strutturale derivante dallo Stato federale, non è molto ampia: il centralismo dei Landers (e la eventuale costruzione di un’Europa delle regioni corre appunto questo rischio), non sembra lasciare molto spazio alla libertà di gestione delle singole scuole. L’ultima indagine comparativa sui risultati dei ragazzi quindicenni ha visto, per gli studenti tedeschi, un risultato non solo inferiore alla media, ma con differenziazioni fra i migliori e i peggiori molto ampie: poca qualità e ancor minore equità.

Tipo latino e mediterraneo: il tronco comune

Quest’ultimo modello, presente in Francia, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna, sembra un tentativo di combinare i precedenti, i quanto ha scelto la soluzione di realizzare una scuola unica per la prima parte della secondaria, ma senza una effettiva pedagogia differenziata (come in Scandinavia) e senza il tutorato (come nei paesi anglosassoni). Invece rimane in questa tradizione (sono tutti paesi cattolici tranne la Grecia, ortodossa) un fondamentale “classicismo”, che li rende molto attenti all’acquisizione di conoscenze, con esami e ripetenze. In alcuni paesi, ad esempio in Francia, rimangono anche degli equivalenti parziali degli indirizzi, con classi di livello, scelte di lingue straniere, sistemi di opzione.

I Paesi latini sono generalmente più sensibili all’insuccesso scolastico contro il quale lottano e per parecchie ragioni: democratizzazione più tardiva e/o condizioni economiche meno favorevoli per certi Paesi, ma soprattutto volontà di portare l’insieme della popolazione scolastica al livello di conoscenza più alto possibile. Sono forse i Paesi che si trovano più a disagio nel loro sistema educativo poiché, sebbene molto diversi tra loro, perseguono l’ideale egualitario della scuola unica scandinava, mentre per tradizione pedagogica, hanno spesso un’uniformità di metodi e delle esigenze che si traducono in frequenti controlli delle conoscenze, in vincoli di esami e di voti e in una maggiore consuetudine di ripetenza.

Questi paesi, tradizionalmente centralistici, stanno procedendo a decentramenti abbastanza ampi, che esaltano l’autonomia delle scuole, pur mantenendo programmi comuni piuttosto vincolanti.

L’esposizione sintetica di questa tipologia, del resto necessariamente schematica, chiarisce però bene che le differenze strutturali esistenti fra i diversi modelli rispondono a logiche profondamente radicate, per cui sembra impossibile, e addirittura sbagliato, pensare ad una uniformizzazione europea, anche se alcuni elementi di convergenza esistono, indotti dall’economia e dalla domanda di formazione, come la generalizzazione dell’istruzione secondaria superiore e la massificazione di quella superiore.

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