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la dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America

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L’America è un paese speciale.

Un paese da invidiare, di cui esser gelosi, per cose che non hanno nulla a che fare con la ricchezza eccetera.
Lo è perché è nato da un bisogno dell’anima, il bisogno d’avere una patria, e dall’ idea più sublime che l’ Uomo abbia mai concepito: l’ idea libertà sposata all’ idea di uguaglianza.
Lo è anche perché a quel tempo l’ idea di libertà non era di moda e l’ idea di uguaglianza, nemmeno.
Non ne parlavano che certi filosofi detti Illuministi, di queste cose.
Non ne parlavan neppure i rivoluzionari della Rivoluzione Francese, visto che questa sarebbe incominciata nel 1789 ossia tredici anni dopo la Rivoluzione Americana che scoppiò nel 1776.

È un paese speciale, un paese da invidiare, inoltre, perché quell’ idea venne materializzata da un piccolo gruppo di leader straordinari: da uomini di grande cultura, di gran qualità e venne capita da contadini spesso analfabeti o comunque ineducati.
I Padri Fondatori (Benjamin Franklin e i Thomas Jefferson e i Thomas Paine e i John Adams e i George Washington eccetera) erano tipi che in greco s’ eran letti Aristotele e Platone, che in latino s’ eran letti Seneca e Cicerone, e che i principii della democrazia greca se l’ eran studiati alla perfezione.
Jefferson conosceva anche l’ italiano (lui diceva «toscano»). In italiano parlava e leggeva con gran speditezza. Infatti con le duemila piantine di vite e le mille piantine di olivo e la carta da musica che in Virginia scarseggiava, nel 1774 il fiorentino Filippo Mazzei gli aveva portato varie copie d’ un libro scritto da un certo Cesare Beccaria e intitolato «Dei Delitti e delle Pene».
Franklin, era un genio: scienziato, stampatore, editore, scrittore, giornalista, politico, inventore. Nel 1752 aveva scoperto la natura elettrica del fulmine e aveva inventato il parafulmine.

E fu con questi leader straordinari, questi uomini di gran qualità, che nel 1776 i contadini si ribellarono all’ Inghilterra e fecero la guerra d’ indipendenza, la Rivoluzione Americana.
E nonostante i morti che ogni guerra costa, non la fecero coi fiumi di sangue della futura Rivoluzione Francese; la fecero con un foglio che insieme al bisogno dell’ anima, il bisogno d’ avere una patria, concretizzava la sublime idea della libertà anzi della libertà sposata all’ uguaglianza.

Su questo foglio v’era scritto:

In Congresso,
4 luglio 1776
Quando nel corso di eventi umani, sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto a un altro popolo e assuma tra le potenze della terra lo stato di potenza separata e uguale a cui le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli danno diritto, un conveniente riguardo alle opinioni dell’umanità richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione.

Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità:
che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità;
che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati;
che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità.

Certamente, prudenza vorrà che i governi di antica data non siano cambiati per ragioni futili e peregrine;
e in conseguenza l’esperienza di sempre ha dimostrato che gli uomini sono disposti a sopportare gli effetti d’un malgoverno finché siano sopportabili, piuttosto che farsi giustizia abolendo le forme cui sono abituati.

Ma quando una lunga serie di abusi e di malversazioni, volti invariabilmente a perseguire lo stesso obiettivo, rivela il disegno di ridurre gli uomini all’assolutismo, allora è loro diritto, è loro dovere rovesciare un siffatto governo e provvedere nuove garanzie alla loro sicurezza per l’avvenire.
Tale è stata la paziente sopportazione delle Colonie e tale è ora la necessità che le costringe a mutare quello che è stato finora il loro ordinamento di governo.

Quella dell’attuale re di Gran Bretagna è storia di ripetuti torti e usurpazioni, tutti diretti a fondare un’assoluta tirannia su questi Stati.
Per dimostrarlo ecco i fatti che si sottopongono all’esame di tutti gli uomini imparziali e in buona fede.
1) Egli ha rifiutato di approvare leggi sanissime e necessarie al pubblico bene.
2) Egli ha proibito ai suoi governatori di approvare leggi di immediata e urgente importanza, se non a condizione di sospenderne l’esecuzione finché non si ottenesse l’assentimento di lui, mentre egli trascurava del tutto di prenderle in considerazione.
3) Egli ha rifiutato di approvare altre leggi per la sistemazione di vaste zone popolate, a meno che quei coloni rinunziassero al diritto di essere rappresentati nell’assemblea legislativa – diritto di inestimabile valore per essi e temibile solo da un tiranno.
4) Egli ha convocato assemblee legislative in luoghi insoliti, incomodi e lontani dalla sede dei loro archivi, al solo scopo di indurre i coloni, affaticandoli, a consentire in provvedimenti da lui proposti.
5) Egli ha ripetutamente disciolte assemblee legislative solo perché si opponevano con maschia decisione alle sue usurpazioni dei diritti del popolo.
6) Dopo lo scioglimento di quelle assemblee si è opposto all’elezione di altre: ragion per cui il Potere legislativo, che non può essere soppresso, è ritornato, per poter funzionare, al popolo nella sua collettività, – mentre lo Stato è rimasto esposto a tutti i pericoli di invasioni dall’esterno, e di agitazioni all’interno.
7) Egli ha tentato di impedire il popolamento di questi Stati, opponendosi a tal fine alle leggi di naturalizzazione di forestieri rifiutando di approvarne altre che incoraggiassero la immigrazione, e ostacolando le condizioni per nuovi acquisti di terre.
8 ) Egli ha fatto ostruzionismo all’amministrazione della giustizia rifiutando l’assentimento a leggi intese a rinsaldare il potere giudiziario.
9) Egli ha reso i giudici dipendenti solo dal suo arbitrio per il conseguimento e la conservazione della carica, e per l’ammontare e il pagamento degli stipendi.
10) Egli ha istituito una quantità di uffici nuovi, e mandato qui sciami di impiegati per vessare il popolo e divorarne gli averi.
11) Egli ha mantenuto tra noi, in tempo di pace, eserciti stanziali senza il consenso dell’autorità legislativa.
12) Egli ha cercato di rendere il potere militare indipendente dal potere civile, e a questo superiore.
13) Egli si è accordato con altri per assoggettarci a una giurisdizione aliena dalla nostra costituzione e non riconosciuta dalle nostre leggi, dando il suo assentimento alle loro pretese disposizioni legislative miranti a:
a) acquartierare tra noi grandi corpi di truppe armate;
b) proteggerle, con processi da burla, dalle pene in cui incorressero per assassinii commessi contro gli abitanti di questi Stati;
c) interrompere il nostro commercio con tutte le parti del mondo;
d) imporci tasse senza il nostro consenso; ..omissis
Anch’essi sono stati sordi alla voce della giustizia, alla voce del sangue comune.

Noi dobbiamo, perciò, rassegnarci alla necessità che denuncia la nostra separazione, e dobbiamo considerarli, come consideriamo gli altri uomini, nemici in guerra, amici in pace.
Noi pertanto, Rappresentanti degli Stati Uniti d’America, riuniti in Congresso generale, appellandoci al Supremo Giudice dell’Universo per la rettitudine delle nostre intenzioni, nel nome e per l’autorità del buon popolo di queste Colonie, solennemente rendiamo di pubblica ragione e dichiariamo: che queste Colonie Unite sono, e per diritto devono essere, stati liberi e indipendenti; che esse sono sciolte da ogni sudditanza alla Corona britannica, e che ogni legame politico tra esse e lo Stato di Gran Bretagna è, e deve essere, del tutto sciolto;
e che, come Stati liberi e indipendenti, essi hanno pieno potere di far guerra, concludere pace, contrarre alleanze, stabilire commercio e compilare tutti gli altri atti e le cose che gli stati indipendenti possono a buon diritto fare.

E in appoggio a questa dichiarazione, con salda fede nella protezione della Divina Provvidenza, reciprocamente impegniamo le nostre vite, i nostri beni e il nostro sacro onore.

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C’è un presidente controcorrente…in Uruguay!

Mentre i leader di altri paesi poveri vivono in lussuosi palazzi e i parlamentari risiedono in suite di hotel a 5 stelle, il presidente dell’ Uruguay, Josè Mujica, primo presidente al mondo ad aver donato il 90% del suo stipendio ai poveri, vive in un antico casale situato a pochi chilometri di distanza dalla capitale .
77 anni, vegetariano, vive con sua moglie e il suo cane a tre zampe in una casa colonica semi fatiscente e il il bene più prezioso in possesso di questo contadino part-time è il suo vecchio “maggiolino”.
Il carismatico presidente uruguaiano José Mujica si è rifiutato di adattare il suo stile di vita alle “trappole della ricchezza “ che derivano dall’ essere la figura più potente del paese.
Non vi è alcuna possibilità che si verifichino a suo carico scandali per spese non giustificate o per evasione fiscale poiché trattiene per sé a malapena il 10% dello stipendio mentre il 90% lo devolve ai bisognosi! Senza scorta e cortei di auto blindate, l’unico segno del suo importante ruolo è rappresentato dalla coppia di agenti di polizia che fanno guardia fissa alla fine del suo viottolo di casa.
Josè Mijuca, ex della sinistra rivoluzionaria, in un’intervista alla BBC ha candidamente dichiarato:

“Mi chiamano il presidente più povero del mondo, ma io non mi sento povero. I poveri sono coloro che lavorano solo per cercare di mantenere uno stile di vita costoso e vogliono sempre di più. E’ una questione di libertà. Se non si dispone di molti beni allora non c’è bisogno di lavorare per tutta la vita come uno schiavo per sostenerli, e si ha più tempo per se stessi”.

Al G20 nel Giugno 2012 ha fatto questo discorso

Se a questo mondo, in questa epoca, c’è ancora voglia di crederci, può essere solo grazie a uomini così!!!

Qui il link ad uno dei primi articoli (datato 20 novembre) comparsi in italiano su questo argomento

così Cromwell sciolse il parlamento inglese nel 1653

È tempo per me di fare qualcosa che avrei dovuto fare molto tempo fa:

mettere fine alla vostra permanenza in questo posto, che avete disonorato disprezzandone tutte le virtù e profanato con ogni vizio;
siete un gruppo fazioso, nemici del buon governo, banda di miserabili mercenari, scambiereste il vostro Paese con Esaù per un piatto di lenticchie;
come Giuda, tradireste il vostro Dio per pochi spiccioli.
Avete conservato almeno una virtù?
C’è almeno un vizio che non avete preso?
Il mio cavallo crede più di voi; l’oro è il vostro Dio; chi fra voi non baratterebbe la propria coscienza in cambio di soldi?
È rimasto qualcuno a cui almeno interessa il bene del Commonwealth?
Voi, sporche prostitute, non avete forse profanato questo sacro luogo, trasformato il tempio del Signore in una tana di lupi con immorali principi e atti malvagi?
Siete diventati intollerabilmente odiosi per un’intera nazione; il popolo vi aveva scelto per riparare le ingiustizie, siete voi ora l’ingiustizia!
Basta!
Portate via la vostra chincaglieria luccicante e chiudete le porte a chiave.
In nome di Dio, andatevene!

Oliver Cromwell, 20 aprile 1653

Thomas Sankara

Thomas Sankara: l’uomo del Burkina Faso che voleva un’Africa liberata dagli imperialismi stranieri:

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Ventiquattro anni fa, ad Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, oggi uno degli stati più poveri dell’Africa Nera, veniva assassinato, all’età di trentasette anni, il presidente e statista Thomas Sankara.
Sankara non fu solo un uomo di stato del Burkina Faso, fu soprattutto un servitore dell’Africa intera, che aveva a cuore le sorti non solo del suo paese, ma dell’intero continente Africano.
Thomas Sankara nacque il ventuno dicembre 1949. Di famiglia cattolica, dopo averfrequentato il liceo, venne incoraggiato dai genitori a prendere i voti, ma a quella vita preferì la carriera militare, che lo portò in Madagascar.
Là fu testimone delle rivolte popolari degli anni settanta e cominciò a nutrire simpatie per la causa antimperialista, che lo portò a condividere in parte gli ideali rivoluzionari di Marx e di Lenin, dei quali lesse le opere.
Tornato in patria, stato che allora si chiamava ancora Alto Volta, fu impegnato dal 1972 al 1974 al fronte nella guerra contro il Mali, durante le quale si distinse per le azioni eroiche e per il suo coraggio, conflitto che anni dopo definì “inutile ed ingiusto”.
Nel 1976, mentre svolgeva le mansioni di comandante in un campo di addestramento, conobbe diversi ufficiali tra cui Blaise Compaoré, con i quali fondò un’associazione segreta che prendeva il nome di ROC, acronimo francese per “Gruppo di Ufficiali Comunisti”.
Negli anni successivi la sua brillante carriera gli consentì di avere importanti incarichi dal governo del paese, da cui spesso si dimise vedendo la corruzione che regnava nell’amministrazione dello Stato, fino al suo arresto che causò un’ondata di contestazioni finché, il 4 agosto 1983, con un
colpo di stato guidato dai suoi fedelissimi, capeggiati da Blaise Compaoré, divenne il quinto presidente dell’Alto Volta. generic and brand drugs with 100% satisfaction guaranteed. no prescription online . absolute privacy. worldwide delivery. free pills (viagra 
Questo golpe, un duro attacco alla secolare sovranità francese in quella regione, fu sostenuto economicamente dalla Libia, che era sull’orlo di un conflitto militare proprio con la Francia nei territori del Ciad.
La sua ascesa al potere fu rapida, ed altrettanto rapidamente si mise al lavoro per attuare quelle riforme che sarebbero servite per modernizzare il paese e renderlo autosufficiente.
I primi interventi furono mirati a ristabilire la sovranità dell’autorità centrale in tutte le regioni dello Stato, per questo vennero aboliti i poteri dei capi villaggio, poteri che andavano dall’esercizio di alcune forme di schiavitù fino alla possibilità di pretendere delle tasse, e sostituiti con leggi ed una fiscalità uguali in tutto il Paese. Vennero abolite la bigamia e la mutilazione genitale femminile, venne promossa l’istruzione di donne e bambini e, per la prima volta, furono affidate a delle donne alcune cariche di governo. Questo insieme di riforme gli inimicò le fasce più conservatrici della società, che erano però poca cosa rispetto alla massa che lo sosteneva.
La sua ispirazione rivoluzionaria lo spinse anche a scelte coraggiose e rischiose quali l’espropriazione dei grandi latifondi per ridistribuire le terre ai contadini, decisione che in due anni portò il Paese a produrre abbastanza grano per essere autosufficiente, furono avviate una serie di grandi opere, stradali e ferroviarie, per unire il Paese. Venne eseguito un censimento generale della popolazione e si costruirono scuole ed ospedali in ogni centro abitato, perché il parere di Sankara era che una rivoluzione si fa partendo dall’istruzione del popolo. L’obiettivo era quello di insegnare a tutti un mestiere, in modo che ognuno avesse la possibilità di vivere del proprio lavoro e contribuire ad uno sviluppo futuro dello Stato, sviluppo che consentì di vaccinare contro la malaria due milioni di persone e di sconfiggere la fame che attanagliava il Paese.
Il nome dello stato venne cambiato da Alto Volta in Burkina Faso (nome in lingua burkinabè che significa “paese degli uomini onesti”), per sancire la definitiva rottura con il passato coloniale che aveva da sempre caratterizzato l’esistenza di quella nazione.
Nel luglio del 1987 ci fu, ad Addis Abeba, la ventitreesima assemblea dei capi di Stato e di governo dell’Unione Africana, e lì pronunciò un celebre discorso che gli procurò l’inimicizia di tutto l’Occidente.
Con il suo intervento Sankara espresse quelli che erano i suoi ideali ed i suoi obiettivi, chiese a tutti i suoi colleghi dell’Unione di consumare solo prodotti africani, di produrre beni con le risorse africane, perché il loro era un continente ricco, soprattutto di materie prime, che dovevano
appartenere solo a loro e a nessun altro. Per dare l’esempio mostrò i suo vestito, realizzato interamente in Burkina Faso, senza nessun bisogno di commerciare con l’Occidente. Invitò tutti i governi a non comprare più armi, perché un’arma comprata da un africano sarebbe servita solo per
uccidere un altro africano, rafforzando le potenze imperialiste che vorrebbero dominare il continente e la sua popolazione.
La parte principale del suo discorso, e quella che più diede fastidio all’Occidente, fu però quella dedicata al debito verso le banche e verso i Paesi più ricchi. L’incitamento che fece a tutte le nazioni africane fu di rifiutarsi di pagare i loro debiti verso gli sfruttatori, perché quelli che hanno prestato
soldi all’Africa sono anche la causa della sua stessa povertà, dovuta a secoli di colonialismo e sfruttamento. Quel debito verso le potenze imperialiste era colpa di quelle stesse nazioni e non degli africani che, come affermò, non erano quindi obbligati a pagarlo, perché se un povero non paga un
debito ad una banca quella banca non fallisce, ma se invece lo paga il povero muore di fame.
Grazie al sistema finanziario neo colonialista occidentale l’Africa era, ed è ancora, un continente assoggettato al volere di banche e multinazionali che ne sfruttano il sottosuolo e la popolazione.
L’ideale panafricano che aveva Sankara piacque a molti presenti all’assemblea, ma nessuno in seguito si operò per metterlo in atto, anche a causa del totale assoggettamento alle potenze estere della maggior parte dei presidenti dell’Unione Africana.
A tre mesi di distanza da quel discorso tenuto ad Addis Abeba, il quindici ottobre 1987, il governo di Thomas Sankara venne rovesciato con un colpo di stato franco-americano guidato dal suo ex collaboratore Blaise Compaoré, e lui fu giustiziato insieme ai suoi uomini più fedeli.
In poco tempo Compaoré, diventato capo del Governo, ripristinò lo status quo come desiderava la Francia, abolendo tutte le riforme fatte dal suo predecessore, accettando gli “aiuti” della Banca Mondiale e degli altri istituti di credito privati, che riportarono il Burkina Faso ad essere lo Stato
suddito dell’Occidente che ancora è oggi.

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Pasolini sul potere moderno

Nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole. E ciò che il potere vuole è completamente arbitrario o dettato da sua necessità di carattere economico, che sfugge alle logiche razionali. Io detesto soprattutto il potere di oggi. Io detesto soprattutto il potere di oggi. Ognuno odia il potere che subisce, quindi odio con particolare veemenza il potere di questi giorni. È un potere che manipola i corpi in un modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler. Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, istituendo dei nuovi valori che sono dei valori alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio delle culture viventi, reali, precedenti. Sono caduti dei valori, e sono stati sostituiti con altri valori. Sono caduti dei modelli di comportamento e sono stati sostituiti da altri modelli di comportamento. Questa sostituzione non è stata voluta dalla gente, dal basso, ma sono stati imposti dal nuovo potere consumistico, cioè la nostra industria italiana pluri-nazionale e anche quella nazionale degli industrialotti, voleva che gli italiani consumassero in un certo modo, un certo tipo di merce, e per consumarlo dovevano realizzare un nuovo modello umano.

(Pier Paolo Pasolini)

Ernesto Che Guevara all’ONU (1964)

…pezzo dal primo discorso che Ernesto Che Guevara tenne l’11 dicembre 1964 nella IX sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU…
A questo link troverete la trascrizione completa e tradotta in italiano.

Don Ciotti

A Milano in 20 marzo 2010, 150.000 persone tra cui tantissimi ragazzi e scuole hanno sfilato con Libera per manifestare contro la mafia. Nata dall’idea e dal lavoro di Don Ciotti,  Libera raccoglie una serie di gruppi che in tutta Italia si impegnano a contrastare con fatti e informazione la presenza della mafia e il velo di silenzio che ne copre le attività. Davanti al Duomo di Milano, dopo aver letto per più di un’ora l’elenco delle vittime di mafia insieme ai familiari, alle forze dell’ordine e ai rappresentanti delle istituzioni,  Don Ciotti ha parlato con passione di “memoria e impegno”. In una società tesa tra libertà di stampa, internet e l’ eccesso di televisioni e palchetti da cui ognuno può parlare senza assumere la responsabilità di ciò che va dicendo, le parole di un uomo con dei valori davanti a una piazza stracolma suonano forse come antiquate, ma proprio per questo diverse, credibili.

Per conoscere meglio Don Ciotti qui di seguito una bella intervista in cui racconta la sua vita e il suo impegno…

Ghassan Kanafani

Ghassan Kanafani (Acri, 9 aprile 1936 – Beirut, 8 luglio 1972) è stato uno scrittore, giornalista e attivista palestinese, particolarmente impegnato per la causa del suo popolo, scomparso in un attentato incendiario in cui perse la vita insieme a una nipote sedicenne. All’epoca della sua morte era portavoce del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, e l’attentato, si dice, fu ordinato dal Mossad per vendicare il Massacro dell’Aeroporto di Lod, attacco attribuito al suo gruppo politico e all’Armata Rossa Giapponese.

Ghassan Kanafani nasce da una famiglia di rango medio-alto, suo padre era un avvocato e, come era comune a quel tempo, fu mandato a studiare alla scuola dei Missionari Francesi che erano in Palestina. Aveva dodici anni quando fu creato lo stato di Israele nel 1948, evento che gli Arabi chiamano al-Nakba (il disastro) e poté assistere al tragico episodio del massacro al villaggio arabo di Deir Yassin.

Da questo momento la sua vita e le sue esperienze rappresenteranno le tappe del popolo palestinese, dalla diaspora al sentimento di nostalgia verso la propria terra, dalla presa di coscienza della sconfitta dell’esercito arabo all’umiliazione e alla perdità di identità. La sua famiglia si rifugiò dapprima in un villaggio del Libano meridionale nella speranza di ritornare al più presto a casa, ma il padre, consapevole dell’inutilità di quella attesa, spostò la famiglia a Damasco per iniziare una nuova vita.

Ghassan Kanafani è il più importante rappresentante di quel gruppo di palestinesi che dall’ esilio (in Arabo Ghurba) hanno contibuito a lottare per la causa palestinese tramite le loro opere artistiche.

La Nakba del 1948 e la Naksa del 1967 sono stati gli avvenimenti più rappresentativi per l’ intero mondo arabo quando si parla di evoluzione della letteratura araba del Novecento, che dagli studiosi vengono ritenuti un vero e proprio giro di boa. I libri degli intellettuali arabi diventano soprattutto opere di denuncia per risvegliare la coscienza del loro popolo e di critica verso le classi dirigenti, incapaci di sollevare la dignità di tutta quella gente incapace di reagire.

Harvey Bernard Milk

Harvey Milk è stato un politico statunitense degli anni ’70.

Harvey ebbe vita dura.
Venne “buttato fuori” dalla marina.
Dovette cambiare residenza per cercare un pò di tranquillità.
Ma anche a SanFrancisco si sentiva minacciato ed in pericolo.
Dovette subire quotidiane violenze e offese.
Fece fatica ad aprire un negozio di fotografia: i vicini non lo volevano!
Dovette faticare e combattere molto per diventare consigliere comunale di San Francisco.
Harvey Milk aveva un “male incurabile”…era Gay.
Fu assassinato da un “collega” il 27 novembre 1978.
Milk, che sapeva di vivere in un paese violento e ignorante, prima di morire disse:
“Se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello, possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay nel Paese.”
Da Harvey Milk tra le altre tante bellissime cose ereditiamo anche un magnifico discorso:
l’ “Hope Speech” del 1978
qui in versione integrale scritta
e qui in versione ridotta e musicata

 

PS:
L’assassino di Milk, reo di duplice omicidio, si fece circa 5 anni di carcere.
Duplice omicidio = 5 anni ?!?
…boh…!!!
…ma questa è un’altra storia

Ken Saro-Wiwa

Ken Saro-Wiwa

Ken Saro-Wiwa

Ken Saro-Wiwa (1941 – 1995) è stato uno scrittore e attivista nigeriano.
Uno degli intellettuali più significativi dell’Africa postcoloniale.

Scrittore eclettico, esordisce come drammaturgo negli anni universitari per dedicarsi poi alla narrativa (Sozaboy, 1985) ed alla televisione; il segno di questa produzione letteraria e televisiva può essere trovato nel felice equilibrio tra il tentativo di dare una forma “accademica” a un inglese raramente considerato degno di indagine (il cosiddetto Pidgin) e l’intrattenimento popolare.

Al lavoro artistico Saro-Wiwa affianca subito un impegno nella vita pubblica che lo vede ricoprire dapprima ruoli istituzionali negli anni settanta (nell’autorità portuale e nella pubblica istruzione del Rivers State) per poi porsi in aperto contrasto con le stesse autorità statali e con il governo federale della Nigeria.

Fin dagli anni ottanta infatti Saro-Wiwa si fa portavoce delle rivendicazioni delle popolazioni del Delta del Niger, specialmente della propria etnia Ogoni maggioritaria nella regione, nei confronti delle multinazionali responsabili di continue perdite di petrolio che danneggiano le colture di sussistenza e l’ecosistema della zona.

Nel 1990 si fa promotore del MOSOP (Movement for the Survival of the Ogoni People); il movimento ottiene risonanza internazionale con una manifestazione di 300.000 persone che Saro-Wiwa guida al suo rilascio da una detenzione di alcuni mesi comminata senza processo.

Arrestato una seconda e una terza volta nel 1994, con l’accusa di aver incitato all’omicidio di alcuni presunti oppositori del MOSOP, Ken Saro-Wiwa viene impiccato a Port Harcourt con altri 8 attivisti del MOSOP al termine di un processo che ha suscitato le più vive proteste da parte dell’opinione pubblica internazionale e delle organizzazione per i diritti umani.

Nel 1996 Jenny Green, avvocato del Center for Constitutional Rights di New York avviò una causa contro la Shell per dimostrare il coinvolgimento della multinazionale petrolifera nell’esecuzione di Saro-Kiwa. Il processo ha poi avuto inizio nel maggio 2009, e la Shell ha subito patteggiato accettando di pagare un risarcimento di 15 milioni e mezzo di dollari (11,1 milioni di euro). La Shell ha però precisato che ha accettato di pagare il risarcimento non perché colpevole del fatto ma per aiutare il “processo di riconciliazione”.

qui la scheda wiki originale

 

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