Autore: Jumpy64

La disumanità è tra noi

Persino i nazisti, prima di essere impiccati, furono processati a Norimberga. Bin Laden non è stato assassinato, ucciso, fucilato, ammazzato, sparato. No. Bin Laden è stato “terminato“, citando le parole di Obama. Un’elegante metafora che riduce un uomo a un insetto. I familiari di Goring non furono condannati a morte, un figlio di Bin Laden è stato invece “terminato“. Era lì, sul luogo del delitto, la colpa è sua. Bin Laden, l’ex amico della Cia e degli Stati Uniti, educato nelle migliori università, è innocente o colpevole dell’ 11 settembre? Avrebbe dovuto stabilirlo un tribunale in base alle prove, al dibattimento. Il mondo avrebbe assistito e, forse, capito. Gli americani sono intervenuti a casa degli altri, come di consuetudine, cow boy della Terra. Il Pakistan è uno Stato indipendente. Per le leggi internazionali, gli Stati Uniti avrebbero dovuto chiedere al governo pachistano di catturare Osama. Perché non lo hanno fatto? Il cadavere di Bin Laden è stato, secondo le fonti statunitensi gettato in mare dopo un funerale islamico(?) su di una portaerei. Lo hanno trasportato da Islamabad per centinaia chilometri per darlo in pasto ai pesci. Chi potrà dimostrare il decesso?

Bin Laden serve a Obama per vincere le elezioni. Forse però perderà la guerra. Questa morte è infatti una vendetta e sangue chiama sempre sangue. Il fanatismo islamico può riesplodere e dilagare. Le scene di giubilo nelle strade delle città americane dopo la notizia della scomparsa di Osama hanno ricordato le stesse scene nei Paesi arabi dopo il crollo delle Torri Gemelle. C’è qualcosa di malato nel festeggiare la morte di una persona, anche di un criminale, come allora era rivoltante celebrare un massacro.
Bin Laden viveva in una palazzina di tre piani a Abbottabad, una località turistica montana non distante da Islamabad. Abbottabad è sede di un’accademia militare e ha numerose caserme. Il governo pachistano non poteva non sapere, così come a suo tempo il governo italiano non poteva non sapere che Totò Riina viveva con la sua famiglia al centro di Palermo. Bin Laden è stato sacrificato, ammesso che non fosse già morto da tempo. “Terminato” come si usa dire in America per coloro che osano sfidarla. La disumanità è tra noi. “Restiamo umani“, come voleva Vittorio Arrigoni.

…dal blog di Beppe Grillo

Il Capitalismo (secondo Michael Moore)

Michael Moore è un regista, sceneggiatore, attore e produttore cinematografico statunitense, vincitore dell’Oscar al miglior documentario con “Bowling a Columbine” (2002) e della Palma d’oro al Festival di Cannes con “Fahrenheit 9/11” (2004).
Attraverso i propri documentari e libri ha affrontato con spirito critico i problemi e le contraddizioni del sistema politico, economico e sociale degli Stati Uniti, conquistando un grande successo di pubblico, ma procurandosi anche una folta schiera di detrattori, che ne hanno messo in discussione idee e metodi.

Il documentario (qui sopra presentato) “Capitalism: A Love Story” (presentato in concorso alla 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia 2009) si concentra sulla crisi finanziaria mondiale scoppiata nel 2006 negli Stati Uniti “per colpa” dei mutui subprime.

Moore in questo film affrontare il problema che è al centro di tutta la sua opera: l’impatto disastroso che il dominio delle corporation ha sulla vita quotidiana degli americani (e, quindi, anche del resto del mondo). Ma questa volta il colpevole è molto più grande della General Motors e la scena del crimine ben più ampia di Flint, Michigan. Dalla Middle America fino ad arrivare ai corridoi del potere a Washington e all’epicentro finanziario globale di Manhattan, Michael Moore porterà ancora una volta gli spettatori su una strada inesplorata. Con umorismo e indignazione, Capitalism: A Love Story di Michael Moore esplora una domanda tabù: qual è il prezzo che l’America paga per il suo amore verso il capitalismo? Anni fa, quell’amore sembrava assolutamente innocente. Tuttavia, oggi il sogno americano sembra sempre più un incubo, mentre le famiglie ne pagano il prezzo, vedendo andare in fumo i loro posti di lavoro, le case e i risparmi. Moore ci porta nelle abitazioni di persone comuni, le cui vite sono state stravolte, mentre cerca spiegazioni a Washington e altrove. Quello che scopre sono dei sintomi fin troppo familiari di un amore finito male: bugie, maltrattamenti, tradimenti… e 14.000 posti di lavoro persi ogni giorno. Capitalism: A Love Story rappresenta una summa delle precedenti opere di Moore, ma è anche uno sguardo su un futuro nel quale una speranza è possibile. E’ il tentativo estremo di Michael Moore di rispondere alla domanda che si è posto in tutta la sua carriera di regista: chi siamo e perché ci comportiamo in questo modo? (link articolo originale)

Questa volta Michael Moore prende le mosse da lontano, addirittura dall’Impero Romano, per mostrare come i segnali di decadenza di quella potenza antica siano tutti rintracciabili nella realtà odierna. La domanda è più che mai esplicita e con la risposta già incorporata: quanto è alto il prezzo che il popolo americano paga a causa della confusione operata tra il concetto di Capitalismo e quello di Democrazia? Per Moore i due termini non coincidono anzi sono in più che netta opposizione soprattutto ora, dopo la crisi mondiale di cui tutti paghiamo le conseguenze.
Per sostenere la sua tesi questa volta il polemista di Flint (cittadina a cui fa ancora una volta ritorno vent’anni dopo Roger & Me) fa un uso molto più ridotto di gag verbali e visive (anche se non ci risparmia un nuovo doppiaggio del Gesù di Zeffirelli in versione liberistico-sfrenata). Perché questa volta il tema è talmente serio che lo spazio per la risata non può che essere ridotto. È ora di passare all’azione secondo Moore. Ancora una volta non per sovvertire un sistema ma per riportarlo alla purezza delle origini.
In una società in cui può esistere un gruppo immobiliare che si autodefinisce gli Avvoltoi (il cui compito è acquistare a prezzi stracciati case già pignorate per poi rivenderle facendo profitti) e in cui la classe media vede falcidiati i propri beni primari dalla rapacità di banche prive di qualsiasi seppur remoto scrupolo, Moore non può sentirsi a suo agio. E non può non solidarizzare con chi pensa che i rapinatori non siano solo quelli proposti in sequenza nelle immagini delle televisioni a circuito chiuso di banche e negozi. Oggi ci sono rapinatori che agiscono sulla sorte di milioni di persone. Qualcuno di loro comincia a pagare ma l’indignazione non è ancora giunta al livello necessario.
Il livello di cui Franklin Delano Roosevelt aveva fatto proprie le istanze ipotizzando una nuova Costituzione Americana in cui i diritti fondamentali dei cittadini venissero riconosciuti in modo assolutamente dettagliato e inequivocabile. Il Presidente morì prima di essere riuscito a farla diventare legge. Oggi il popolo americano paga questo vuoto legislativo con i posti di lavoro persi e le abitazioni letteralmente divorate da avvoltoi di diverse specie. Moore, da vero americano, auspica un ritorno al passato perché la parola futuro possa tornare ad avere un significato positivo. Quando mostra vescovi e sacerdoti schierarsi senza indugio a fianco di chi sta perdendo il lavoro viene in mente l’abusata terminologia nostrana ‘cattocomunista’. Non si tratta di ‘comunismo’ in questo film ma di diritti basilari che la ricerca sfrenata del guadagno non può mai (in nessuna occasione e per nessun pseudo motivo di ‘interesse generale’) calpestare.
Moore porta come esempio positivo, tra le altre, la nostra Costituzione. Faremmo bene ogni tanto a rileggerla.
Magari dopo avere visto Capitalism: A Love Story. (link all’articolo originale e altro ancora sul film).

Home (docu by Yann Arthus-Bertrand)

Il fotografo di fama intercontinentale Yann Arthus-Bertrand è regista e co-autore di questo strepitoso documentario: Home
il trailer originale:

il film integrale, originale ed in italiano:

Qui il link alla scheda IMDb del film.
Qui il link al sito ufficiale di Bertrand.
Qui i links alla scheda wiki e la scheda IMDb di Bertrand.

il “mago” Gabriel “poeta”

Incredibile…assolutamente incredibile…
Da vedere…veramente da vedere

Aldo: “V A F F Aaaaa Nnnn CU LOoooooooO”

A questo passaggio al cinema ci siamo pisciati tutti sotto…

Sacchi o Crozza…nessuno lo saprà mai

Il mitico Crozza che fa Sacchi
…o viceversa…

Carmelo e Pino in…”muratori licenziati”

Grandiosi Crozza e Dighero….
…se non l’avete mai visto da guardare assolutamente!!!

Huffington Post

informazione alternativa

huffingtonpost.com

Il futuro dell’informazione

Ieri parlavo con un amico che lavora da molto tempo nelle concessionarie di pubblicità, prima per la televisione e in questi ultimi anni per la stampa, oggi per uno di questi free press (come Metro, City etc.) che hanno dato un duro colpo alla stampa quotidiana tradizionale…

Mi ha detto che sono molto in crisi anche loro, e che a breve quasi tutti scompariranno..è finito l’effetto “novità” durato qualche anno.

Per chi non lo conoscesse vi segnalo l’Huffington Post, quello che secondo me è il futuro dell’informazione: un web magazine fatto in gran parte da contributi di bloggers e citizen journalists, oltre che a collegamenti con autorevoli networks come cnn, fox, al jazeera etc. pensate che bello sarà avere un’informazione svincolata dalle logiche padronali degli editori!!!

enjoy 🙂

Detersivi naturali (e biologici)

vi segnalo due filmati molto utili per risparmiare, e soprattutto per non inquinare!!

consigli generici per pulire tutta la casa:

come preparare in cucina il detersivo per i piatti:

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