Io sono l’unica il cui destino
lingua non indaga, occhio non piange;
non ho mai causato un cupo pensiero,
né un sorriso di gioia, da quando sono nata.
Tra piaceri segreti e lacrime segrete,
questa mutevole vita mi è sfuggita,
dopo diciott’anni ancora così solitaria
come nel giorno della mia nascita.
E vi furono tempi che non posso nascondere,
tempi in cui tutto ciò era terribile,
quando la mia triste anima perse il suo orgoglio
e desiderò qualcuno che l’amasse.
Ma ciò apparteneva ai primi ardori
di sentimenti poi repressi dal dolore;
e sono morti da così lungo tempo
che stento a credere siano mai esistiti.
Era già amaro pensare che l’umanità
fosse insincera, sterile, servile;
ma peggio fu fidarmi della mia mente
e trovarvi la stessa corruzione.
Joseph Mallord William Turner, (Londra, 23 aprile 1775 – Chelsea, 19 dicembre, 1851)
“Buttermere Lake, with Part of Cromackwater, Cumberland, a Shower” – the Tate Gallery
Emily Jane Brontë (Thornton, 30 luglio 1818 – Haworth, 19 dicembre 1848), fu scrittrice e poetessa inglese in epoca vittoriana. Famosa per il suo romanzo “Cime Tempestose” (criticato come immorale ai suoi tempi, considerato a posteriori uno dei pochi veri classici della letteratura inglese), pochi la conoscono invece per le sue poesie.
La poesia sopra, in particolar modo, mi ha colpito per la lettura interiore psicologica.
Tanto autentica, quanto, nell’autenticità dei sentimenti, spietata: è più facile, difatti, vivere auto ingannandosi che essere così franchi con se stessi.
Si sa che in linea di massima sono gli ottimisti, coloro che vivono più felicemente, perfino degli stessi realisti. Ottenendo, in taluni campi, risultati migliori.
Ma la sensibilità spesso va a braccetto con la sofferenza e talvolta l’una rafforzando l’altra. Gli artisti non sono famosi per essere degli ottimisti o delle persone che vivono con equilibrio. A volte profondi depressi (Leopardi) o al confine con la follia (Van Gogh).
Tuttavia, se le loro opere sono il risultato, non è sempre solo un male essere realisti o addirittura pessimisti. Non è tutto solo un male a volte nemmeno essere folli, anche se non conviene, se si potesse scegliere, esserlo.
Dipende cosa s’intende per bene e per male. Non tutto ciò per cui sentiamo male fa veramente male, e non tutto ciò per cui sentiamo bene fa veramente bene. Il male e il bene spesso si confondono e si fanno l’occhiolino a vicenda. Spesso c’è anche un sottile piacere nel sentire male: nella tristezza ci permettiamo cose che in altri momenti non ci permetteremmo, nella paura cogliamo il gusto della sfida, nella rabbia tiriamo fuori la grinta. Emozioni tanto importanti da sentire che, alle volte, se stiamo troppo bene, andiamo alla ricerca di qualcosa che ci faccia un po’ male.
La poesia di Emily, inoltre, mi ha colpito per il rigore morale e la drammatica malinconia dei versi, che sembrano appartenere ad una persona che fa il conto della sua vita alla fine di tanti anni vissuti e non ad un’ancor giovane donna.
Del resto quando si legge la sua biografia ci si meraviglia meno di quanto ella va scrivendo.
“La salute di Emily andò via, via indebolendosi, a causa delle malsane condizioni di vita del tempo. Morì di tubercolosi a soli trent’anni, dopo essersi ammalata in occasione del funerale del fratello, morto di delirium tremens nel setttembre dello stesso anno. Il modo, in cui Emily affrontò la malattia, contribuì non poco a consolidarne il mito: Charlotte nelle sue lettere scrisse che la sorella non solo rifiutava medicine e medici, ma si ostinava a voler svolgere tutte le mansioni domestiche, delle quali si era sempre occupata, impedendo a chiunque di darle il benché minimo aiuto, nonostante a volte le mancasse il fiato persino per parlare. Mormorò di essere pronta a vedere un dottore soltanto la mattina di quel 19 dicembre che la vide morire, ridotta a poco più di uno scheletro, assistita dalle due sorelle, fra cui, appunto, Charlotte Brontë, a sua volta famosa per il romanzo “Jane Eyre“.
Bellissima anche la poesia d’amore sottostante.
Verrò quando sarai più triste,
steso nell’ombra che sale alla tua stanza;
quando il giorno demente ha perso il suo tripudio,
e il sorriso di gioia è ormai bandito
dalla malinconia pungente della notte.
Verrò quando la verità del cuore
dominerà intera, non obliqua,
ed il mio influsso su di te stendendosi,
farà acuta la pena, freddo il piacere,
e la tua anima porterà lontano.
Ascolta, è proprio l’ora,
l’ora tremenda per te:
non senti rullarti nell’anima
uno scroscio di strane emozioni,
messaggere di un comando più austero,
araldi di me?
Questa poesia mi colpisce sempre per il suo acume e la sua sensibilità psicologica.
Spesso siamo più in contatto con noi stessi, non nei periodi più felici, ma in quelli più dolorosi. E così, spesso, il desiderio di vicinanza emotiva con l’altro si raggiunge profondamente, non nei momenti di tripudio e dalle tante distrazioni esterne, ma in quei momenti in cui, soli con noi stessi, sentiamo la tristezza e gli altri sentimenti dolorosi che ci assalgono.
Ma tutti (specie quelli che sentono di soffrire tanto, come la nostra Emily) abbiamo poi bisogno di leggerezza, di evasione, che sembrano possibili, alle volte, solo abbandonandosi alla fantasia.
Ed ecco, il motivo d’ispirazione, a mio parere, della commovente poesia sottostante (considerando anche la bella anima di Emily, divorata poi nel suo corpo da una malattia allora incurabile).
Più felice sono quando più lontana
porto la mia anima dalla sua dimora d’argilla,
in una notte di vento quando la luna brilla
e l’occhio vaga attraverso mondi di luce
Quando mi annullo e niente mi è accanto
né terra, né mare, né cieli tersi
e sono tutta spirito, ampiamente errando
attraverso infinite immensità.
Non so, se esiste una vita ultraterrena, sono sicura solo che lo spirito di Emily ha vagato e continua a vagare nella sua preziosa e carica leggerezza nei cuori di chi si è commosso e ancor si commuove per i suoi versi, per quanto spesso gravidi di profonda tristezza e intensa disperazione.
Nella non certezza del tutto, fra pessimismo, realismo e ottimismo, se si ha abilità di capire se stessi, c’è spazio per tutti per indirizzare la propria personalità e trovare il proprio campo di espressione.