Categoria: -gente “comune” Pagina 1 di 5

gente comune con difficoltà aiutata da gente comune col cuore ed ignorata da gente comune senza senso del sociale

Milano. Ieri sera esco dalla Feltrinelli di Corso Buenos Aires e mi ferma una tizia su una sedie a rotelle che mi sbiascica qualche parola incomprensibile.
Sono di fretta perché devo andare ad un appuntamento e do quindi poca attenzione alla cosa.
Sto per salire in macchina e mentre salgo mi viene il classico rimorso che mi fa tornare indietro a verificare di cosa avesse bisogno la signora.
La osservo e mi rendo conto che la signora è probabilmente malata di SLA, è gonfia che peserà almeno 100 kg, tutta sporca, piena di sacchetti, ha i piedi aperti a 180 gradi e riesce a muovere a stento solo le dita della mano destra con cui pilota la sedia a rotelle e qualche muscolo della faccia con cui a fatica dice qualche parola.
Le chiedo di cosa avesse bisogno e mi dice che cercava qualcuno che la potesse aiutare ad entrare nel portone e nell’ascensore di casa ma che per farlo sapeva già c’era bisogno i almeno 4 uomini.
Con a fianco questa signora cerco di fermare qualche passante per organizzare il gruppo ma è l’orario di uscita dall’ufficio, sono tutti di fretta, è l’ora dell’aperitivo e vedo che tutti mi scansano con diffidenza e fastidio.
Ad un certo punto riesco a fermare un ragazzo che aveva appena finito una telefonata al cellulare, gli spiego la situazione ed accetta di aiutarmi anche se gli leggo in viso una espressione di fastidio.
Mentre cerco di trovare altri 2 volenterosi mi giro e vedo che il ragazzo che si era fermato se l’è data a gambe… è letteralmente scappato !!!
Alla fine gli unici che si sono fermati a darmi una mano sono stati una coppia gay (uno maestro elementare e l’altro impiegato in una libreria) ed un ragazzo un po’ rapper.
Non entro nei dettagli dell’operazione per mettere la signora nell’ascensore ma dico solo che per fare 45 metri + ingresso portone + sollevamento gradino + passaggio su un’altra carrozzina + ingresso in ascensore + telefonata a qualche Santo che l’aspettava al piano di casa, ci abbiamo messo 40 minuti circa.
Di tutta questa storia le cose che mi hanno davvero impressionato sono la fuga dello “STRONZO” che si era fermato e poi è scappato, l’indifferenza ed il fastidio della folla alla richiesta di aiuto, la serena rassegnazione della signora in carrozzina e soprattutto il fatto che c’era qualche persona meravigliosa (parente, sorella, nipote o chissà chi altro ) che aspettava la signora al piano e che quotidianamente se ne prende cura in tutti gli aspetti della vita.
Dentro di me pensavo che si dovrebbe parlare molto di più dell’eroismo quotidiano di questa gente sconosciuta che quotidianamente sopporta l’insopportabile ed invece alle nostre TV e giornali piace parlarci di psicopatici, dell’omicidio di Yara, di quello di Avetrana, dei ladri, dei corrotti, dei così detti VIP, del dimagrimento di Rocco Siffredi, della beghe dei nostri politici e di tutte le minchiate il cui scopo sembrerebbe di portarci i cuori in basso lontano dal cielo.Looking for reliable home buyers? Visit https://www.cash-for-houses.org/kansas/ to get cash for your property.

lettera d’amore postuma

L’addio di Laurie Anderson a Lou
Laurie Anderson, moglie di Lou, ha inviato questa emozionante e struggente lettera per
raccontare il loro amore, il vero Lou e gli ultimi momenti insieme.
Ho conosciuto Lou a Monaco, non a New York. Era il 1992, e stavamo entrambi suonando con
John Zorn al Kristallnach festival in ricordo della Notte dei Cristalli del 1938, che ha segnato
l’inizio dell’Olocausto. Ricordo che guardavo alle espressioni confuse delle facce degli ufficiali di
dogana mentre un flusso continuo di musicisti di Zorn attraversava la dogana tutti con indosso delle
magliette rosse con scritto “Abbiamo ritmo e siamo Ebrei”.
John voleva che ognuno di noi incontrasse gli altri e suonasse con gli altri, contrariamente a come si
usa nei festival. Ecco perché Lou mi ha chiesto di leggere qualcosa insieme al suo gruppo. L’ho
fatto, ed era forte e intenso e molto divertente. Dopo lo spettacolo, Lou mi ha detto “lo hai fatto
nello stesso identico modo in cui lo faccio io!”. Perché aveva avuto bisogno di me per fare un
qualcosa che poteva benissimo fare da solo ancora non l’ho compreso, ma era sicuramente inteso
come un complimento.
Mi è subito piaciuto, ma rimasi sorpresa che non avesse un accento inglese. Per qualche ragione
pensavo che i Velvet Underground fossero inglesi, E avevo solo una vaga idea di quello che
avessero fatto (lo so, lo so). Venivo da un mondo completamente diverso. E tutti i mondi a New
York all’epoca (il mondo della moda, il mondo dell’arte, il mondo della letteratura, il mondo del
rock, il mondo della finanza) erano abbastanza provinciali. In un certo senso sprezzanti. Ancora non
legati tra loro. Come poi avemmo modo di scoprire, Lou ed io non vivevamo molto lontano l’uno
dall’altro a New York, e dopo il festival Lou suggerì di vederci.Penso gli sia piaciuto quando ho
risposto “sì! Assolutamente! Ora sono in tour, ma quando tornerò, vediamo, tra circa quattro mesi,
vediamoci sicuramente!”. Andò avanti per un po’, e finalmente mi chiese se volevo andare
all’Audio Engineering Society Convention. La Convention è uno dei posti più grandi e importanti
dove entusiasmarsi sull’ultimo equipaggiamento tecnico, E passammo un pomeriggio felice
guardando amplificatori, cavi e parlando delle cose elettroniche da comprare. Non avevo alcuna
idea che quello dovesse essere un appuntamento, ma quando andammo a prendere un caffè dopo mi
chiese “vorresti andare al cinema?”. Certo. “E dopo di quello a cena?”. OK. “E poi una
passeggiata?”. Um … da quel momento non ci siamo mai separati.
Lou ed io suonavamo insieme, diventammo migliori amici, e poi compagni, abbiamo viaggiato,
ascoltato e criticato il lavoro dell’altro, studiato cose insieme (la caccia alle farfalle, la meditazione,
andare in kayak). Facevamo battute ridicole; smesso di fumare 20 volte; combattuto; imparato a
trattenere il fiato sott’acqua; andati in Africa; abbiamo cantato arie d’opera in ascensore; fatto
amicizia con persone improbabili; ci siamo seguiti in tour quando è stato possibile; abbiamo avuto
una dolcissima cagnolina che suonava il piano; condiviso una casa che era diversa dai nostri
rispettivi appartamenti; abbiamo protetto e amato l’altro. Andavamo spesso a vedere arte, musica,
spettacoli, teatro e ho osservato come amava e apprezzava altri artisti e musicisti. Era sempre così
generoso. Sapeva come fosse difficile l’ambiente. Amavamo la nostra vita nel West Village e i
nostri amici; e, in tutto ciò, abbiamo sempre fatto tutto nel miglior modo che ci riuscisse.
Come molte coppie, ognuno di noi ha costruito un modo d’essere: strategie, e a volte compromessi,
che ci hanno permesso di essere parte di una coppia. A volte abbiamo perso un po’ di più di quello
che eravamo capaci di dare, o abbiamo ceduto un po’ troppo, o ci siamo sentiti abbandonati. A volte
ci siamo davvero arrabbiati. Ma anche quando ero fuori di me, non ero mai annoiata. Abbiamo
imparato a perdonarci l’un l’altro. E in qualche modo, per 21 anni, abbiamo intrecciato le nostre
menti e i nostri cuori, insieme.
Era la primavera del 2008. Stavo camminando per strada, in California, mi sentivo abbattuta e
parlavo al cellullare con Lou. “Ci sono tante cose che non ho mai fatto e che volevo fare” gli ho
detto.
“Come cosa, per esempio?”
“ on so, non ho mai imparato il tedesco, non ho mai studiato fisica, non mi sono mai sposata”
“Perché non ci sposiamo?” mi ha chiesto. “Ci incontriamo a metà strada. Arrivo in Colorado. Che
ne dici di domani?”
“Uhm … non pensi che domani sia un po’ troppo presto?”
“ o, non lo penso”.
E così il giorno dopo ci siamo incontrati a Boulder, in Colorado, e ci siamo sposati nel giardino di
un amico di sabato, indossando i nostri normali vestiti da sabato, e sebbene dovessi fare uno
spettacolo subito dopo la cerimonia, per Lou andava bene. (I musicisti che si sposano è come
quando si sposano due avvocati. Quando dici “accidenti devo lavorare in studio fino alle tre di
notte” o cancelli tutti i tuoi appuntamenti per chiudere il caso, sai esattamente cosa significhi e non
fai necessariamente dei salti di gioia).
Suppongo ci siano molti modi di sposarsi. Alcune persone sposano qualcuno che conoscono a
malapena, cosa che può anche funzionare. Quando sposi quello che è anche il tuo migliore amico da
diversi anni, dovrebbe esserci un altro nome per chiamare la cosa. Ma la cosa che mi ha sorpreso di
più nello sposarmi è come si alteri il tempo. E anche come in qualche modo aggiunga una tenerezza
che era, in qualche modo, completamente nuova. Per parafrasare il grande Willie elson: “Il 90%
delle persone in questo modo finisce con la persona sbagliata, ed è questo che fa ancora andare gli
juke box”. Lo Jukebok di Lou era pieno di amore e di molte altre cose: bellezza, dolore, storia,
coraggio, mistero.
Lou era malato da due anni a questa parte: prima per il trattamento con interferone, una serie di
iniezioni ignobili ma spesso efficaci per trattare l’epatite C che è equipaggiata con una bella serie di
fastidiosi effetti collaterali. Poi è subentrato un cancro al fegato, che si andava a sommare a una
forma di diabete in stato avanzato. Abbiamo ottenuto buoni risultati in ospedale. Lui ha imparato
tutto quanto su queste malattie e sui rispettivi trattamenti. Ha continuato a fare Tai Chi ogni giorno
per due ore più fotografie, libri, registrazioni, la sua trasmissione radiofonica con Hal Willner e
molti altri progetti. Ha amato i suoi amici, e ha chiamato, mandati messaggi, email quando non
poteva essere con loro. Abbiamo cercato di comprendere e applicare gli insegnamenti che il nostro
maestro Mingyur Rinpoche impartiva; specialmente quelli più difficili come “devi imparare a
padroneggiare l’abilità di sentirti triste senza in realtà essere triste”.
La scorsa primavera, all’ultimo minuto, ha ricevuto un trapianto di fegato che sembrava aver
funzionato completamente e ha riguadagnato istantaneamente la salute e l’energia. Poi anche quello
ha cominciato a funzionare male, e non c’era via di scampo. Quando il dottore ha detto: “E’ finita.
on ci sono più opzioni”, l’unica parte che Lou ha sentito era “opzioni”. Non si è dato per vinto
fino all’ultima mezz’ora della sua vita, quando improvvisamente lo ha accettato: all’improvviso e
completamente.
Eravamo a casa. Lo avevo portato via dall’ospedale qualche giorno prima. E anche se era molto
debole, ha insistito per uscire fuori nella luce accecante del mattino.
Come persone use alla meditazione, eravamo preparati per questo: come muovere l’energia dalla
pancia fino al cuore e poi spingerla fuori dalla testa. Non ho mai visto un’espressione così piena di
meraviglia come quella di Lou quando è morto. Le sue mani stavano facendo la forma 21 del Tai
Chi, quella dell’acqua che scorre. I suoi occhi erano spalancati. Stavo tenendo tra le braccia la
persona che amavo più di ogni altra cosa al mondo e le parlavo mentre moriva. Il suo cuore ha
smesso di battere. Non aveva paura. Ero riuscita a camminare con lui fino alla fine del mondo. La
vita – così bella, dolorosa e spettacolare – non può dare qualcosa più di questo. E la morte? Penso
che lo scopo della morte sia liberare l’amore.
Al momento, non posso che essere piena di gioia e sono così orgogliosa del modo in cui ha vissuto
e in cui è morto, della sua incredibile potenza e grazia.
Sono sicura che verrà a trovarmi in sogno e sembrerà ancora vivo. E all’improvviso sono qui in
piedi da sola incantata e piena di gratitudine. Com’è strano, eccitante e miracoloso che possiamo
cambiarci l’un l’altro in modo così profondo, amarci l’un l’altro così tanto attraverso le nostre
parole e la musica e le nostre vite reali.

L’addio di Laurie Anderson a Lou

Laurie Anderson, moglie di Lou, ha inviato questa emozionante e struggente lettera per

raccontare il loro amore, il vero Lou e gli ultimi momenti insieme.

Ho conosciuto Lou a Monaco, non a New York. Era il 1992, e stavamo entrambi suonando con

John Zorn al Kristallnach festival in ricordo della Notte dei Cristalli del 1938, che ha segnato

l’inizio dell’Olocausto. Ricordo che guardavo alle espressioni confuse delle facce degli ufficiali di

dogana atarax, atarax pictures, rx free atarax, cheap atarax, buy atarax no prescription online , no rx ( prescription ) required buy . mentre un flusso continuo di musicisti di Zorn attraversava la dogana tutti con indosso delle

magliette rosse con scritto “Abbiamo ritmo e siamo Ebrei”.

John voleva che ognuno di noi incontrasse gli altri e suonasse con gli altri, contrariamente a come si

usa nei festival. Ecco perché Lou mi ha chiesto di leggere qualcosa insieme al suo gruppo. L’ho

fatto, ed era forte e intenso e molto divertente. Dopo lo spettacolo, Lou mi ha detto “lo hai fatto

nello stesso identico modo in cui lo faccio io!”. Perché aveva avuto bisogno di me per fare un

qualcosa che poteva benissimo fare da solo ancora non l’ho compreso, ma era sicuramente inteso

come un complimento.

Mi è subito piaciuto, ma rimasi sorpresa che non avesse un accento inglese. Per qualche ragione

pensavo che i Velvet Underground fossero inglesi, E avevo solo una vaga idea di quello che

avessero fatto (lo so, lo so). Venivo da un mondo completamente diverso. E tutti i mondi a New

York all’epoca (il mondo della moda, il mondo dell’arte, il mondo della letteratura, il mondo del

rock, il mondo della finanza) erano abbastanza provinciali. In un certo senso sprezzanti. Ancora non

legati tra loro. Come poi avemmo modo di scoprire, Lou ed io non vivevamo molto lontano l’uno

dall’altro a New York, e dopo il festival Lou suggerì di vederci.Penso gli sia piaciuto quando ho

risposto “sì! Assolutamente! Ora sono in tour, ma quando tornerò, vediamo, tra circa quattro mesi,

vediamoci sicuramente!”. Andò avanti per un po’, e finalmente mi chiese se volevo andare

all’Audio Engineering Society Convention. La Convention è uno dei posti più grandi e importanti

dove entusiasmarsi sull’ultimo equipaggiamento tecnico, E passammo un pomeriggio felice

guardando amplificatori, cavi e parlando delle cose elettroniche da comprare. Non avevo alcuna

idea che quello dovesse essere un appuntamento, ma quando andammo a prendere un caffè dopo mi

chiese “vorresti andare al cinema?”. Certo. “E dopo di quello a cena?”. OK. “E poi una

passeggiata?”. Um … da quel momento non ci siamo mai separati.

Lou ed io suonavamo insieme, diventammo migliori amici, e poi compagni, abbiamo viaggiato,

ascoltato e criticato il lavoro dell’altro, studiato cose insieme (la caccia alle farfalle, la meditazione,

andare in kayak). Facevamo battute ridicole; smesso di fumare 20 volte; combattuto; imparato a

trattenere il fiato sott’acqua; andati in Africa; abbiamo cantato arie d’opera in ascensore; fatto

amicizia con persone improbabili; ci siamo seguiti in tour quando è stato possibile; abbiamo avuto

una dolcissima cagnolina che suonava il piano; condiviso una casa che era diversa dai nostri

rispettivi appartamenti; abbiamo protetto e amato l’altro. Andavamo spesso a vedere arte, musica,

spettacoli, teatro e ho osservato come amava e apprezzava altri artisti e musicisti. Era sempre così

generoso. Sapeva come fosse difficile l’ambiente. Amavamo la nostra vita nel West Village e i

nostri amici; e, in tutto ciò, abbiamo sempre fatto tutto nel miglior modo che ci riuscisse.

Come molte coppie, ognuno di noi ha costruito un modo d’essere: strategie, e a volte compromessi,

che ci hanno permesso di essere parte di una coppia. A volte abbiamo perso un po’ di più di quello

che eravamo capaci di dare, o abbiamo ceduto un po’ troppo, o ci siamo sentiti abbandonati. A volte

ci siamo davvero arrabbiati. Ma anche quando ero fuori di me, non ero mai annoiata. Abbiamo

imparato a perdonarci l’un l’altro. E in qualche modo, per 21 anni, abbiamo intrecciato le nostre

menti e i nostri cuori, insieme.

Era la primavera del 2008. Stavo camminando per strada, in California, mi sentivo abbattuta e

parlavo al cellullare con Lou. “Ci sono tante cose che non ho mai fatto e che volevo fare” gli ho

detto.

“Come cosa, per esempio?”

“ on so, non ho mai imparato il tedesco, non ho mai studiato fisica, non mi sono mai sposata”

“Perché non ci sposiamo?” mi ha chiesto. “Ci incontriamo a metà strada. Arrivo in Colorado. Che

ne dici di domani?”

“Uhm … non pensi che domani sia un po’ troppo presto?”

“ o, non lo penso”.

E così il giorno dopo ci siamo incontrati a Boulder, in Colorado, e ci siamo sposati nel giardino di

un amico di sabato, indossando i nostri normali vestiti da sabato, e sebbene dovessi fare uno

spettacolo subito dopo la cerimonia, per Lou andava bene. (I musicisti che si sposano è come

quando si sposano due avvocati. Quando dici “accidenti devo lavorare in studio fino alle tre di

notte” o cancelli tutti i tuoi appuntamenti per chiudere il caso, sai esattamente cosa significhi e non

fai necessariamente dei salti di gioia).

Suppongo ci siano molti modi di sposarsi. Alcune persone sposano qualcuno che conoscono a

malapena, cosa che può anche funzionare. Quando sposi quello che è anche il tuo migliore amico da

diversi anni, dovrebbe esserci un altro nome per chiamare la cosa. Ma la cosa che mi ha sorpreso di

più nello sposarmi è come si alteri il tempo. E anche come in qualche modo aggiunga una tenerezza

che era, in qualche modo, completamente nuova. Per parafrasare il grande Willie elson: “Il 90%

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fastidiosi effetti collaterali. Poi è subentrato un cancro al fegato, che si andava a sommare a una

forma di diabete in stato avanzato. Abbiamo ottenuto buoni risultati in ospedale. Lui ha imparato

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padroneggiare l’abilità di sentirti triste canada, online no prescription – laurasorensen senza in realtà essere triste”.

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funzionato completamente e ha riguadagnato istantaneamente la salute e l’energia. Poi anche quello

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on ci sono più opzioni”, l’unica parte che Lou ha sentito era “opzioni”. Non si è dato per vinto

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meraviglia come quella di Lou quando è morto. Le sue mani stavano facendo la forma 21 del Tai

Chi, quella dell’acqua che scorre. I suoi occhi erano spalancati. Stavo tenendo tra le braccia la

persona che amavo più di ogni altra cosa al mondo e le parlavo mentre moriva. Il suo cuore ha

smesso di battere. Non aveva paura. Ero riuscita a camminare con lui fino alla fine del mondo. La

vita – così bella, dolorosa e spettacolare – non può dare qualcosa più di questo. E la morte? Penso

che lo scopo della morte sia liberare l’amore.

Al momento, non posso che essere piena di gioia e sono così orgogliosa del modo in cui ha vissuto

e in cui è morto, della sua incredibile potenza e grazia.

Sono sicura che verrà a trovarmi in sogno e sembrerà ancora vivo. E all’improvviso sono qui in

piedi da sola incantata e piena di gratitudine. Com’è strano, eccitante e miracoloso che possiamo

cambiarci l’un l’altro in modo così profondo, amarci l’un l’altro così tanto attraverso le nostre

parole e la musica e le nostre vite reali.

The academy’s recommendations so far include a https://essay4today.com call for the federal government to take the lead in encouraging states, universities, teacher groups, and others to collaborate in recovering the promise in standards-based education

Isabella Viola

Capita di rado che un articolo di giornale faccia spuntare i lucciconi.
A me è successo con la storia raccontata da Laura Bogliolo sul «Messaggero».
In apparenza parla di una signora di 34 anni, Isabella Viola, morta domenica 18 novembre per un malore sulla banchina della stazione Termini a Roma.

In realtà dentro quella donna c’è tutto.
C’è la pendolare che si sveglia alle 4 ogni mattina per andare a preparare le brioche in un bar del quartiere Tuscolano.
C’è l’orfana precoce che la vita ha costretto a crescere in fretta, come se già sapesse di non poterle concedere troppo tempo per esprimere i propri talenti.
C’è la mamma di quattro figli che sulla sua pagina Facebook scrive: «Una donna il suo gioiello più prezioso non lo indossa, lo mette al mondo».
C’è la sognatrice che fantastica di aprire un forno tutto suo per le brioche.
C’è la sgobbona di cuore che risparmia per i regali di Natale dei ragazzini e si agita per trovare casa a tre cani randagi.
C’è la malata che da tempo non si sente bene, ma non può smettere di alzarsi alle 4 – a Torvaianica, in faccia a un mare che non vede mai – per prendere un bus e due linee di metropolitana fino al bar del Tuscolano.
C’è una vita dura. E una persona vera, completa.

Da qualche giorno accanto al bar è spuntata una cassetta con la scritta: «Aiutiamo i figli di Isabella». Giovani, casalinghe, impiegati e pensionati sfilano come in una processione, togliendosi magri spicci dalle tasche. Non è un’elemosina. E’ l’omaggio a una regina.

copiaincollato dal “BUONGIORNO” del 28/11/2012 (Isa. Bella) di Massimo Gramellini

Anna Frank

Il 3 maggio Anna Frank 1944 scriveva nel suo Diario

” A che cosa serve mai la guerra?
Perché gli uomini non possono vivere in pace?
Perché devastare tutto?
La domanda è comprensibile, ma finora nessuno ha ancora trovato una risposta soddisfacente.
Già, perché in Inghilterra fanno aeroplani sempre più grandi, bombe sempre più pesanti e, nello stesso tempo, case prefabbricate in serie per la ricostruzione?
Perché si spendono ogni giorno milioni per la guerra e nemmeno un centesimo per l’assistenza medica, per gli artisti, per i poveri?
Perché gli uomini debbono soffrire la fame, quando in altre parti del mondo si lasciano marcire i cibi sovrabbondanti?
Perché gli uomini sono così pazzi?
Non credo affatto che la guerra sia soltanto colpa dei grandi uomini, dei governanti e dei capitalisti. No, la piccola gente la fa altrettanto volentieri, altrimenti i popoli si sarebbero rivoltati da tempo.
C’è negli uomini un impulso alla distruzione, alla strage, all’assassinio, alla furia, e fino a quando tutta l’umanità, senza eccezioni, non avrà subito una grande metamorfosi, la guerra imperverserà: tutto ciò che è stato ricostruito o coltivato sarà distrutto e rovinato di nuovo e l’umanità dovrà ricominciare da capo. ”

…desidero invitare TUTTI alla lettura del libro e ad una PROFONDA, SILENZIOSA RIFLESSIONE…

There is no movement without rhythm! (by Thomas Roebers)

Non c’è movimento senza ritmo!
…quanto è vero, forse non ce ne accorgiamo perchè ormai viviamo così lontani dalla natura…..

Vedere per credere!!!

…filmato originale del fotografo olandese Thomas Roebers.

Irena Sendler

Guardate questa donna e ricordate il suo viso x sempre…lei e’ Irena Sendler donna di origine tedesca. Durante la seconda guerra mondiale è stata assunta come idraulico nei campi di concentramento ma lei aveva un secondo fine riguardo a questo lavoro. Sapeva dei piani terrificanti dei nazisti…aveva il suo furgoncino e le sue borse ingombranti…alla fine della giornata Irena metteva nelle sue borse dei bambini..e le metteva nel furgoncino insieme al cane che era addestrato ad abbaiare a tutti i soldati che, un po’ scocciati dal cane non controllavano mai il retro del furgone…e così Irena ha salvato più di 2500 bambini!!! Quando è stata scoperta le sono state rotte le gambe e le braccia…ma.lei non ha mollato la sua missione…nel giardino di casa sua ha seppellito un barattolo di vetro con la lista di tutti i nomi dei bambini…ed è sempre andata alla ricerca dei genitori e parenti. All’età di 98 anni si è spenta. Non sempre il premio Nobel viene dato a chi lo merita veramente…Irena…GRANDE DONNA..

Diego Bianchi (detto Zoro)

Non mi piacciono le cose sciocche e volgari e difficilmente rido di gusto. Ma la rubrica video “Tolleranza Zoro” di Diego Bianchi mi fa sbellicare…lo trovo intelligente, rapido, malizioso, colto, impegnato, leggero, piacevole.
Veramente BELLO.
Qui il link alla sua scheda wiki.
Qui il link al suo blog.
Qui il link al suo canale su youtube.
E qui di seguito alcuni suoi video recenti + il primo “Tolleranza Zoro” (2007-09-25).

Thomas Sankara

Thomas Sankara: l’uomo del Burkina Faso che voleva un’Africa liberata dagli imperialismi stranieri:

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Ventiquattro anni fa, ad Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, oggi uno degli stati più poveri dell’Africa Nera, veniva assassinato, all’età di trentasette anni, il presidente e statista Thomas Sankara.
Sankara non fu solo un uomo di stato del Burkina Faso, fu soprattutto un servitore dell’Africa intera, che aveva a cuore le sorti non solo del suo paese, ma dell’intero continente Africano.
Thomas Sankara nacque il ventuno dicembre 1949. Di famiglia cattolica, dopo averfrequentato il liceo, venne incoraggiato dai genitori a prendere i voti, ma a quella vita preferì la carriera militare, che lo portò in Madagascar.
Là fu testimone delle rivolte popolari degli anni settanta e cominciò a nutrire simpatie per la causa antimperialista, che lo portò a condividere in parte gli ideali rivoluzionari di Marx e di Lenin, dei quali lesse le opere.
Tornato in patria, stato che allora si chiamava ancora Alto Volta, fu impegnato dal 1972 al 1974 al fronte nella guerra contro il Mali, durante le quale si distinse per le azioni eroiche e per il suo coraggio, conflitto che anni dopo definì “inutile ed ingiusto”.
Nel 1976, mentre svolgeva le mansioni di comandante in un campo di addestramento, conobbe diversi ufficiali tra cui Blaise Compaoré, con i quali fondò un’associazione segreta che prendeva il nome di ROC, acronimo francese per “Gruppo di Ufficiali Comunisti”.
Negli anni successivi la sua brillante carriera gli consentì di avere importanti incarichi dal governo del paese, da cui spesso si dimise vedendo la corruzione che regnava nell’amministrazione dello Stato, fino al suo arresto che causò un’ondata di contestazioni finché, il 4 agosto 1983, con un
colpo di stato guidato dai suoi fedelissimi, capeggiati da Blaise Compaoré, divenne il quinto presidente dell’Alto Volta. generic and brand drugs with 100% satisfaction guaranteed. no prescription online . absolute privacy. worldwide delivery. free pills (viagra 
Questo golpe, un duro attacco alla secolare sovranità francese in quella regione, fu sostenuto economicamente dalla Libia, che era sull’orlo di un conflitto militare proprio con la Francia nei territori del Ciad.
La sua ascesa al potere fu rapida, ed altrettanto rapidamente si mise al lavoro per attuare quelle riforme che sarebbero servite per modernizzare il paese e renderlo autosufficiente.
I primi interventi furono mirati a ristabilire la sovranità dell’autorità centrale in tutte le regioni dello Stato, per questo vennero aboliti i poteri dei capi villaggio, poteri che andavano dall’esercizio di alcune forme di schiavitù fino alla possibilità di pretendere delle tasse, e sostituiti con leggi ed una fiscalità uguali in tutto il Paese. Vennero abolite la bigamia e la mutilazione genitale femminile, venne promossa l’istruzione di donne e bambini e, per la prima volta, furono affidate a delle donne alcune cariche di governo. Questo insieme di riforme gli inimicò le fasce più conservatrici della società, che erano però poca cosa rispetto alla massa che lo sosteneva.
La sua ispirazione rivoluzionaria lo spinse anche a scelte coraggiose e rischiose quali l’espropriazione dei grandi latifondi per ridistribuire le terre ai contadini, decisione che in due anni portò il Paese a produrre abbastanza grano per essere autosufficiente, furono avviate una serie di grandi opere, stradali e ferroviarie, per unire il Paese. Venne eseguito un censimento generale della popolazione e si costruirono scuole ed ospedali in ogni centro abitato, perché il parere di Sankara era che una rivoluzione si fa partendo dall’istruzione del popolo. L’obiettivo era quello di insegnare a tutti un mestiere, in modo che ognuno avesse la possibilità di vivere del proprio lavoro e contribuire ad uno sviluppo futuro dello Stato, sviluppo che consentì di vaccinare contro la malaria due milioni di persone e di sconfiggere la fame che attanagliava il Paese.
Il nome dello stato venne cambiato da Alto Volta in Burkina Faso (nome in lingua burkinabè che significa “paese degli uomini onesti”), per sancire la definitiva rottura con il passato coloniale che aveva da sempre caratterizzato l’esistenza di quella nazione.
Nel luglio del 1987 ci fu, ad Addis Abeba, la ventitreesima assemblea dei capi di Stato e di governo dell’Unione Africana, e lì pronunciò un celebre discorso che gli procurò l’inimicizia di tutto l’Occidente.
Con il suo intervento Sankara espresse quelli che erano i suoi ideali ed i suoi obiettivi, chiese a tutti i suoi colleghi dell’Unione di consumare solo prodotti africani, di produrre beni con le risorse africane, perché il loro era un continente ricco, soprattutto di materie prime, che dovevano
appartenere solo a loro e a nessun altro. Per dare l’esempio mostrò i suo vestito, realizzato interamente in Burkina Faso, senza nessun bisogno di commerciare con l’Occidente. Invitò tutti i governi a non comprare più armi, perché un’arma comprata da un africano sarebbe servita solo per
uccidere un altro africano, rafforzando le potenze imperialiste che vorrebbero dominare il continente e la sua popolazione.
La parte principale del suo discorso, e quella che più diede fastidio all’Occidente, fu però quella dedicata al debito verso le banche e verso i Paesi più ricchi. L’incitamento che fece a tutte le nazioni africane fu di rifiutarsi di pagare i loro debiti verso gli sfruttatori, perché quelli che hanno prestato
soldi all’Africa sono anche la causa della sua stessa povertà, dovuta a secoli di colonialismo e sfruttamento. Quel debito verso le potenze imperialiste era colpa di quelle stesse nazioni e non degli africani che, come affermò, non erano quindi obbligati a pagarlo, perché se un povero non paga un
debito ad una banca quella banca non fallisce, ma se invece lo paga il povero muore di fame.
Grazie al sistema finanziario neo colonialista occidentale l’Africa era, ed è ancora, un continente assoggettato al volere di banche e multinazionali che ne sfruttano il sottosuolo e la popolazione.
L’ideale panafricano che aveva Sankara piacque a molti presenti all’assemblea, ma nessuno in seguito si operò per metterlo in atto, anche a causa del totale assoggettamento alle potenze estere della maggior parte dei presidenti dell’Unione Africana.
A tre mesi di distanza da quel discorso tenuto ad Addis Abeba, il quindici ottobre 1987, il governo di Thomas Sankara venne rovesciato con un colpo di stato franco-americano guidato dal suo ex collaboratore Blaise Compaoré, e lui fu giustiziato insieme ai suoi uomini più fedeli.
In poco tempo Compaoré, diventato capo del Governo, ripristinò lo status quo come desiderava la Francia, abolendo tutte le riforme fatte dal suo predecessore, accettando gli “aiuti” della Banca Mondiale e degli altri istituti di credito privati, che riportarono il Burkina Faso ad essere lo Stato
suddito dell’Occidente che ancora è oggi.

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Jean Béliveau: 75 mila chilometri a piedi per i BAMBINI

Jean Béliveau, 56 anni canadese, è tornato casa.

Quest’uomo è partito ben 11 anni fa con un obiettivo: fare il giro del mondo a piedi. E ce l’ha fatta. Un’avventura davvero incredibile e per portarla a termine Béliveau ha consumato 54 paia di scarpe.

Durante il suo viaggio, che ha avuto inizio il 18 agosto del 2000, il canadese ha attraversato Usa, America Latina, Messico, Europa, Africa e Asia. A quanto pare l’uomo ha iniziato la sua impresa dopo che la sua azienda di neon è fallita. La necessità di superare una sorta di depressione, di crisi di mezza età, l’ha spinto ad intraprendere l’incredibile viaggio. Il suo ritorno a casa, a Montreal, è avvenuto domenica scorsa.

Ora l’intenzione di Béliveau è quella di adoperarsi per la pace. Con il suo viaggio il canadese ha voluto sollecitare tutti a vivere in pace e lottare per essa, nonostante le diversità. Il suo obiettivo principale è sempre stato un progetto di pace in favore dei bambini. Dopo 11 anni di viaggio Béliveau non sembra affatto stanco e ha mostrato il suo desiderio di non fermarsi mai. Per molti Béliveau è il nuovo Forrest Gump, altri lo hanno paragonato a Jack Kerouac. L’impresa è valsa a Béliveau il riconoscimento dell’Unesco, che ha inserito la sua impresa nel progetto per la pace e la non violenza a favore dei bambini.

In questi 11 anni Jean Béliveau ha macinato 75mila chilometri ed attraversato 64 Paesi. Con sé il canadese ha portato una carrozzina a tre ruote, una sorta di “casa-valigia” che non lo ha mai abbandonato.

Nel corso del suo viaggio Béliveau ha provato esperienze di ogni tipo. E’ stato ad esempio scortato da soldati armati nelle Filippine ed aggredito da due giovani ubriachi in Sudafrica dove, per dormire al caldo, ha trascorso una notte in carcere e la mattina seguente, poiché la guardia che lo aveva accolto si era scordata di avvertire il collega del turno successivo, non lo volevano più far uscire.

La moglie, che lo ha incoraggiato, ha sempre raggiunto Béliveau, ovunque si trovasse, per trascorrere il Natale insieme. La moglie ha anche creato un sito per descrivere il lungo viaggio del marito.

Fra qualche mese probabilmente questa incredibile avventura diventerà un libro.

Un giorno di luglio 2003, Jean Beliveau si è svegliato in un carcere del Sud Africa, nel quale è entrato, di sua spontanea volontà, per avere un giaciglio e ed un riparo notturno. Il capo della polizia gli ha concesso di fermarsi per la notte, ma ora le guardie del turno di mattina non intendono lasciarlo andare via. Non intendono stare a sentire le sue pretese di innocenza o la sua bizzarra storia di essere l’uomo che sta cercando di fare il giro del mondo a piedi. A questo punto Beliveau ha già percorso 21 mila chilometri. “Non sono un prigioniero”, urla. “Sono il ragazzo canadese che sta facendo il giro del mondo a piedi. Dai, per favore. Per me è ora di andare. Sono pronto a ripartire”. Infine, un altro detenuto – un criminale vero – inizia a gridare e le guardie arrivano per vedere che cosa stia succedendo. Ben presto, gli uomini di legge si scusano con Beliveau e lo lasciano andare per la sua strada.
La sua lunga, lunga strada.
Per 11 anni, Beliveau ha camminato attraverso tutto il mondo, cercando di attirare l’attenzione sui bambini che subiscono violenza.
Il suo cammino ha coinciso con una iniziativa delle Nazioni Unite iniziata nel 2000 e si è conclusa il mese scorso, ma, l’uomo, ha ancora gran parte del Canada da attraversare.
Beliveau spinge un passeggino a tre ruote che trasporta poco più di una tenda, sacco a pelo, un kit di primo soccorso, cibo ed un diario. Niente high-tech o GPS. Solo alcune mappe, e, poi, durante il viaggio, segue i consigli della gente incontrata.
Ha percorso 76 mila chilometri, consumato 49 paia di scarpe, attraversato 64 paesi in sei continenti, ha dormito in alberghi, chiese, carceri e case di migliaia di sconosciuti. Ha ballato e cantato con i bambini in Malesia ed ha incontrato quattro vincitori del Premio Nobel per la pace, tra i quali Nelson Mandela a Durban, in Sud Africa. Quel breve incontro, nell’ottobre 2003, è stato uno dei momenti più memorabili degli anni che Beliveau trascorso viaggiando a piedi. “È stato molto breve”, ricorda Beliveau: “ha detto, ‘Il mondo ha bisogno di persone come voi.’ Sono parole molto grandi, ispirate, che ti danno una buona spinta”.

Beliveau è partito da Montreal. Ha camminato lungo la costa orientale degli Stati Uniti e, poi, l’occidentale del Sud America, è volato in Sud Africa, e da lì ha camminato verso nord lungo la costa orientale del continente, poi verso ovest lungo la parte superiore. Dopo aver sorvolato la Libia, perchè non riusciva ad ottenere il visto, si è diretto a nord dal Marocco verso l’Europa, raggiungendo l’Inghilterra nel 2006. Poiché l’inverno si stava avvicinando, ha deciso di non attraversare la Russia e si è diretto verso il Medio Oriente. Ha attraversato l’India e la Cina e, nell’agosto 2008, la Corea del sud. Poi, ha raggiunto le Filippine, la Malesia e l’Australia. Alla fine del 2010, era in Nuova Zelanda ed, ora, in Canada.
Il 30 gennaio, il viaggiatore intrepido è atterrato a Vancouver per completare l’ultima tappa del suo precorso. Sua moglie, che non lo aveva visto da più di un anno, era all’aeroporto, insieme ad un gruppetto di sostenitori. “È stato incredibile… strano, un po’ surreale”, dice Beliveau dell’incontro. “Questo è un grande, grande momento”Beliveau racconta che l’idea del viaggio gli è venuta nel novembre del 1999 mentre camminava attraverso il ponte Jacques Cartier a Montreal. Era in crisi di mezza età ed aveva appena venduto il suo negozio. Aveva bisogno di un cambiamento. Su una mappa del mondo, ha tracciato una rotta approssimativa e pensava di impiegare, nella sua impresa, una decina di anni. In seguito, si è allenato camminando, poi correndo.“Così mi è passata la depressione. Avevo un sogno ora, un progetto di vita davanti a me. Non riuscivo a smettere di pensarci”.
La parte più difficile è stata di dirlo a sua moglie, Luce Archambault, che compiva 45 anni dopo un mese dalla partenza. “Sono stato fortunato, io sono ancora fortunato, di avere Luce”, ha detto. “Lei è quella che continuava a sostenere il ragazzo sulla strada”. Archambault lo ha aiutato ad organizzare il viaggio da casa, ha costruito un sito web dedicato al camminare e, soprattutto, gli ha fornito, sempre, un supporto emotivo. I due si sono visti una volta all’anno da quando è iniziata l’impresa, incontrandosi, lungo il percorso, per tre settimane in inverno. Quelle vacanze sono state l’unico riposo per l’uomo.
Di media, ha camminato 30 km al giorno.“Molto può succedere in 10 anni”, dice. È diventato nonno due volte ed ha perso il padre nel 2006, mentre era in Belgio. Ha incontrato la sua prima nipote nello stesso anno durante una riunione di famiglia in Germania, ma deve ancora incontrare il suo secondo nipote.

Beliveau ha un infinito bagaglio di aneddoti edificanti sulla gentilezza degli estranei, le offerte di ospitalità, con vitto ed alloggio. Ha ricevuto un intervento odontoiatrico in Egitto ed in Australia, un paio di occhiali in India tutto gratuitamente.
Ha anche dovuto affrontare molte sfide, inclusa la sensazione di isolamento che l’ha quasi spinto ad abbandonare il viaggio nel 2004: stava passeggiando per l’Etiopia, circondato da bambini, ma non poteva trovare un modo per comunicare. I bambini potevano imitarlo dicendogli “Ciao”. Le molte differenze culturali che ha incontrato lungo la strada, e la solitudine, sono diventati troppo pesanti per lui. Lo descrive come un “shock culturale cumulativo” e dice che non poteva andare avanti. “Forse ero proprio arrivato ad un punto di saturazione” ma una telefonata da Archambault gli ha fatto cambiare idea e lo ha rimesso sulla strada.
Questa esperienza gli è servita come una lezione importante per perseverare nel suo intento nei successivi sette anni. Questo l’ha anche spinto a cercare di entrare più in contatto con le persone che ha incontrato e per assorbire quanto più possibile della loro cultura. Si è anche sforzato per cercare di imparare le varie lingue.
Dobbiamo sviluppare un grande senso di tolleranza, apertura mentale, dovremmo imparare dalle altre culture” spiega. Beliveau è riuscito ad imparare l’inglese, lo spagnolo ed il portoghese e sa dire “ciao, come stai” in tantissimi modi diversi che, dice, “è un grande passo avanti per accostare gli sconosciuti”. La sicurezza è stato un problema in alcuni posti. Ha richiesto una scorta della polizia in nove paesi, tra i quali l’Egitto, la Tunisia, il Marocco e la Macedonia. Nelle Filippine, è stato accompagnato da almeno 30 soldati – tutti con bandoliere di munizioni legate sul petto. L’uomo si è anche chiesto se fosse giusto accettare le offerte di sicurezza. “Non so se posso usare la parola vergogna, ma stavo camminando per la pace”, dice. “Immagina la scena: l’uomo che cammina a piedi per la pace, con l’esercito in giro che lo protegge”.

Beliveau sta cercando di sensibilizzare sullo stato dei bambini, non vuole raccogliere soldi per una particolare associazione caritativa, anche se alcune organizzazioni, lungo la strada, si sono unite a lui per raccolte di fondi locali.
Il 6 gennaio 2007, ha raggiunto i 40.000 chilometri, circa la lunghezza della circonferenza della Terra all’equatore, mentre si trovava a Rakoczifalva, Ungheria, circa 300 persone si sono impegnate a raccogliere fondi di beneficenza per bambini.
Un fatto simile si è verificato a Manila, nelle Filippine, ma questa volta erano più di 1.000 persone.
Beliveau e Archambault hanno creato la Fondazione WWWalk in modo da poter continuare a lavorare per i bambini di tutto il mondo alla fine dell’impresa.

La fine del viaggio è prevista verso la metà di questo mese.
Ricordando le sue prime settimane a piedi attraverso gli Stati Uniti, Beliveau dice che non aveva programmato abbastanza che cosa doveva fare ma poi non c’è voluto molto per entrare nel ritmo del cambiamento costante.
“Chiunque considerando una simile avventura dovrebbe sapere che il primo passo è il più difficile. Basta andare, muovere i primi passi. Tu costruisci la tua strada sulla strada”.

siti di riferimento:
EXCITE
WELLTHINESS BLOG

qui di seguito una parte del documentario:

Rosa Maria Cruz-Muller

Mama Rosy vive ad Acapulco (Messico) ed ha centinaia di figli…forse migliaia…ormai non si contano più 🙂
E’ una donna che “da amore ai bambini di strada”, si occupa di loro, li veste, li sfama, li aiuta, offre loro una letto al coperto, un bagno dove ripulirsi, un luogo dove provare ad imparare a leggere e scrivere…una possibilità di uscire dalla durissima vita di strada…

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