Perché gli USA sono in Iraq?
A sentire la propaganda di Washington, i problemi degli Stati Uniti in Iraq sono tutti dovuti all’Iran.
In realtà, questa invasione è un crimine di guerra:
La domanda di petrolio non è mai stata così forte come in questo momento storico.
Le riserve dell’Iraq sono le seconde al mondo e l’estrazione è poco costosa.
Nel novembre 2007 il presidente George W. Bush e il premier iracheno Nouri al Maliki hanno firmato una dichiarazione di princìpi senza consultare né il congresso statunitense né il parlamento iracheno, e meno che mai le popolazioni dei due paesi.
La dichiarazione lascia aperta la possibilità di una presenza militare statunitense in Iraq a tempo indeterminato.
Il documento contiene anche una richiesta sfacciata sullo sfruttamento delle risorse irachene.
Il ministero del petrolio iracheno sta per firmare con alcune compagnie petrolifere occidentali (Exxon Mobil, Shell, Total, Bp, Chevron e qualche altra piccola) per rinnovare la concessione petrolifera perduta negli anni delle nazionalizzazioni, quando i paesi produttori di petrolio ripresero il controllo delle loro risorse.
I contratti senza gara d’appalto, a quanto pare scritti dalle stesse compagnie petrolifere con l’aiuto delle autorità americane, hanno prevalso sulle offerte di altre quaranta società, tra cui alcune cinesi, indiane e russe.
Nel mondo arabo e nell’opinione pubblica statunitense circola il sospetto che gli’USA abbiano occupato l’Iraq per assicurarsi il petrolio garantito da questi contratti.
Per gli strateghi statunitensi è fondamentale che l’Iraq sia sotto il controllo degli Stati Uniti e che, per quanto possibile, si comporti come uno stato-cliente docile, pronto a ospitare le loro basi militari nel cuore delle maggiori riserve di greggio del mondo.
Durante tutto ciò i democratici statunitensi sono rimasti silenziosi. Evidentemente non hanno obiezioni di principio alla guerra.
Questi sono gli occhi con cui si guarda il mondo: se si raggiunge l’obiettivo, la guerra e l’occupazione sono giustificate.
Qual è il debito degli USA con gli iracheni per aver distrutto il loro paese?…
Mio riassunto di un articolo di Noam Chomsky tradotto e pubblicato su Internazionale il 17 luglio 2008
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E’ notizia di ieri: i miliziani dell’ISIS, lo “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, le cui efferatezze sono ben note anche nella vicina Siria, hanno conquistato la città di Mosul, la seconda città più importante dell’Iraq, in cui il paese estrae la propria quota maggioritaria di petrolio. Allo stesso tempo l’ISIS ha conquistato anche Ninive, importante località d’assira memoria. Ma il loro bottino non finisce qui, perché da stamani hanno assunto il controllo anche della provincia di Baiji, tra Baghdad e Mosul, anch’essa ricchissima di petrolio. E’ una zona strategica perché nel suo terrritorio si trovano anche importanti raffinerie e passano gli oleodotti che collegano le regioni orientali a quelle occidentali del paese. In pratica gli uomini dell’ISIS, legati ad Al Qaeda, hanno ora nelle loro mani il serbatoio, la cassaforte dell’Iraq.
E di cassaforte è proprio bene parlare perché, tra l’altro, con la caduta di Mosul i miliziani dell’ISIS hanno potuto mettere le mani su un capitale di circa 500 miliardi di dinari iracheni, corrispondenti a 425 milioni di dollari, che intuibilmente serviranno a finanziare le loro prossime operazioni militari, non soltanto in Iraq ma anche e soprattutto in Siria.
Non a caso il governo siriano ha immediatamente risposto alle disperate richieste d’aiuto presentate al mondo intero dal premier iracheno Al Maliki, offrendo il proprio aiuto. Damasco ha parlato chiaramente d’un “nemico comune”, da affrontare in una “comune lotta al terrorismo” che altro non è se non “un complotto contro i due popoli iracheno e siriano”.
Si conferma dunque la strategia imperialista statunitense di provocare il caos laddove si presentano situazioni contrarie ai propri interessi. Nel 2003 gli Stati Uniti avevano nell’Iraq di Saddam Hussein un nemico dichiarato. L’invasione e l’occupazione militare, che ha comportato anni di guerra, sono servite in ultima istanza solo a creare un nuovo potenziale nemico, l’Iraq di Al Maliki. A parole il nuovo Iraq per gli Stati Uniti rappresenta un alleato, ma nei fatti esso è sempre più vicino all’Asse della Resistenza, nonché alla Cina e alla Russia, con quest’ultima che addirittura partecipa alla ricostruzione del suo arsenale militare. Quanto basta per provocarvi nuovamente il caos, scatenandovi le forze dell’ISIS.
E’ una strategia che abbiamo in parte già visto e che in futuro potremmo rivedere più abbondantemente anche in Libia e in Afghanistan. Se l’imperialismo nordamericano non può assumere il pieno controllo d’un paese, sottraendolo così all’influenza dei grandi avversari strategici (la Russia, la Cina, ecc), allora come seconda alternativa ha quello di farlo precipitare nel caos, rendendolo così incontrollabile e non “godibile” per tutti. Ciò ostacola, nel caso iracheno, la penetrazione russo – cinese in Medio Oriente allontanando o alleggerendo, negli auspici di Washington, il declino statunitense.
Filippo Bovo su http://www.statopotenza.eu/12632/perche-il-caos-iracheno