Categoria: Salute e Sanità Pagina 5 di 9

Giocare a Soffocare per combattere la paura di non esistere

Space monkey, l’ultimo ritrovato nel campo del divertimento ed intrattenimento giovanile.

Dal titolo, può sembrare l’ultima americanata cinematografica, fantascienza ed effetti speciali 3D all’ultimo grido da miliardi di euro..ed in effetti è così, è un fenomeno nato negli USA, i miliardi se li è fatti e continua a farlseli youtube,  è talmente 3D da essere reale, la realtà è talmente assurda da sembrare fantascienza.

I protagonisti sono i giovani d’oggi, che non sapendo cosa fare e come divertirsi, si accontentano di poco (ma che bravi)..non c’è nulla di più figo che riprendere con il telefonino l’amichetto/a che si fa strangolare, dopo aver iperventilato per qualche secondo. Da quello che ho visto, sembra proprio divertente!! Volete mettere,  vedere gli spasmi di un corpo che cerca di riprendere vita, dopo essere andato in carenza di ossigeno, al punto di perdere i sensi è fichissimo!!!
..SCANDALOSO!!

La cosa ancora più grave è che la maggior parte dei ragazzini che praticano questa nuova forma di arte, sono tutti emulatori figli di papà, vale a dire ragazzini a cui manca solo 1 cosa, (un bel po’ di sale in zucca) che si sono informati su come eseguire lo “Space Monkey” per poi metterlo in pratica. Bene , se si fossero informati un pochino di più  (giusto poco poco) , questo ed altri centinaia di articoli in tutto il mondo non sarebbero mai stati scritti e non ci sarebbero stati decine e decine di ragazzini morti, paralizzati o rimasti cerebrolesi.

Gente, genitori..meditate!!!! 

 

 

 

Ru486 la pillola per l’aborto non chirurgico

1 apr – La Ru486 sta per approdare negli ospedali italiani. 79dfe3685e5c22fda797de58b19ea39b
A partire da oggi, infatti, il discusso farmaco abortivo fara’ il suo ingresso nei nosocomi che la richiederanno e gia’ la settimana dopo Pasqua le donne potrebbero usarla per le interruzioni farmacologiche di gravidanza.
Sono solo sei le Regioni (Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Toscana, Trento e Veneto) che hanno deciso come somministrate la pillola: tre con il ricovero ordinario e tre con il day hospital. Tutte le altre non hanno ancora preso una decisione. Anche se adesso a questo dato si aggiunge l’incognita Piemonte dopo le dichiarazioni di Roberto Cota, neo presidente eletto, che ieri aveva annunciato che le pillole abortive gia’ ordinate sarebbero rimaste nei magazzini.
In particolare, Lombardia, Toscana e Veneto hanno deliberato per il ricovero ordinario per tutta la durata dell’interruzione di gravidanza (normalmente tre giorni), mentre Emilia Romagna, Piemonte e Provincia Autonoma di Trento, hanno seguito la via della possibilita’ del day hospital, prevedendo appositi protocolli che consentono comunque il monitoraggio costante della donna, anche al di fuori dell’ospedale, per l’arco di tempo necessario all’aborto.
Le altre Regioni aspettano indicazioni. Indicazioni che potrebbero prendere la forma di vere e proprie linee guida nazionali.
  
 
Quando si parla di aborto si rischia di entrare in querelle di tipo etico, dove filosofie, religioni, morali si differenziano cosi’ profondamente tra loro, per cui impossibile e’ un loro punto di incontro. Evitiamo di entrare in questa voragine e partiamo dal dato di fatto della 194 approvata quasi 25 anni fa, che permette di abortire legalmente a carico del Sistema Sanitario Nazionale, e che non da’ indicazioni limitative sul metodo
Sul sito dell’ADUC (Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori)  ho trovato un articolo esaustivo (benché un po’ datato) per la comprensione di chi non è un sanitario, che mette a confronto i due metodi: chirugico e farmacologico.  L’articolo è un po’ lunghetto, ma per chi è interessato all’argomento vale la pena informarsi.
 
Al di là delle posizioni personali in merito, cerchiamo di capire quali differenze sussistono.
 
I DUE METODI: chirurgico e farmacologico
Da un raffronto tra i due metodi (realizzato in Svizzera) si comprende come entrambi siano efficaci e sicuri. Le differenze riguardano tempi e percezione. Ma queste sono decisioni che spettano alla donna, cosi’ come i consigli spettano ai medici.
 
LE STATISTICHE
L’ISTAT ci fornisce una serie di dati sugli aborti legali che vengono praticati ogni anno in Italia. Il numero diminuisce progressivamente ogni anno, per quanto rimanga ancora una sacca di aborti clandestini. Assumendo il dato del 1998 di 138.000 aborti all’anno, e raffrontandolo con i casi della Francia e della Svezia dove il 30% degli aborti e’ realizzato con la RU486, e’ facile intuire che dopo un primo rodaggio e una sua conoscenza, anche in Italia potrebbe riprodursi un fenomeno simile.
Nel 2000 il numero degli aborti registrati si ferma infatti a 135.000, stabilizzandosi cosi’ dal 1995. L’Istat stesso scrive nell’annuario statistico del 6 novembre 2002: “Si può quindi affermare che in Italia sta cambiando il modello di abortività volontaria: si sta passando da un modello di tipo “tradizionale”, caratterizzato da un ricorso all’Ivg soprattutto delle donne coniugate con figli, a un modello, più simile a quello dei paesi nord europei, in cui l’aborto è più estemporaneo e legato a situazioni di “emergenza”, ovvero non viene più utilizzato per controllare le dinamiche di pianificazione familiare”.
 
COSA FARE
Oggi la RU486 e’ commercializzata in quasi tutti i Paesi dell’Ue. Dopo un lungo procedimento dettato dalle normative europee (la cd procedura di mutuo riconoscimento), nel luglio 2009 l’Aifa ha autorizzato la commercializzazione della Ru486 anche in Italia.

STORIA DELLA Ru486

Il 19 aprile 1982 il professore Etienne-Emile Baulieu presenta all’Accademia delle scienze i risultati clinici di una nuova sostanza anti-progesterone: il mifepristone, messo a punto due anni prima da una equipe di chimici e endocrinologi del laboratorio francese Roussel-Uclaf. Codificata come RU 38486, diventera’ l’RU486. Sperimentata nell’ospedale universitario di Ginevra, l’anti-ormone permette di abortire a sette donne tra le sei e le otto settimane di gravidanza. Nel 1983, la Roussel-Uclaf firma un accordo con l’Organizzazione mondiale della sanita’ (Oms). Un anno dopo, un accordo dello stesso tipo viene firmato con Population Council, un’organizzazione non governativa americana. Iniziano le prime sperimentazioni cliniche. Il nuovo prodotto da buoni risultati nell’indurre aborti precoci. Il 23 settembre 1988 la Roussel-Uclaf ottiene l’autorizzazione per la Francia a immettere sul mercato l’RU486 per le interruzioni volontarie di gravidanza prima del quarantanovesimo giorno di amenorrea. Ma il 26 ottobre 1988 il gruppo Roussel-Uclaf ha deciso di sospendere fino a nuovo ordine la distribuzione in Francia e all’estero della pillola abortiva. Pierre Joly, vicepresidente della Roussel-Uclaf, riferisce al ministro francese alla Sanita’ le pressioni esterne cui la ditta e’ sottoposta e le reticenze sempre piu’ esplicite dell’azionista principale, i laboratori tedeschi Hoechst. “Poiche’ in Francia l’aborto e’ legale, e’ bene che venga praticato nelle migliori condizioni possibili” cosi’ replica il ministero, poiche’ la questione coinvolge la sanita’ pubblica, e ingiunge al laboratorio Roussel-Uclaf di riprendere la distribuzione dell’RU486. Nel 1991 e’ autorizzata in Gran Bretagna e un anno dopo in Svezia, piu’ recentemente in Svizzera. La Roussel-Uclaf rifiuta di commercializzarla in Cina, con il pretesto che le condizioni sanitarie non sarebbero sufficienti. Pechino decide allora di copiare la molecola. Cosi’, oggi due milioni di donne cinesi abortiscono ogni anno con un “doppione” del prodotto. Il presidente del gruppo della Hoechst, Wolfgang Hilger, fervente cattolico, dichiara che l’RU486 e’ contrario alla sua etica e a quella della sua societa’.
La polemica risveglia un passato che la ditta tedesca vorrebbe dimenticare. IG Farben, la conglomerata di cui Hoechst faceva parte, durante la seconda guerra mondiale non ha forse prodotto lo Zyclon B, il gas utilizzato nei campi di sterminio? Il 16 maggio 1994, i diritti dell’RU486 sono “graziosamente” ceduti sul territorio Usa a una Organizzazione non Governativa, la Population Council.
Nel dicembre 1996, Hoechst lancia una Opa su Roussel-Uclaf. Tre mesi dopo il gruppo Roussel-Uclaf non esiste piu’ e si parla ormai del gruppo Hoechst-Marion-Roussel. L’8 aprile 1997, una settimana dopo che i militanti anti-abortisti avevano proclamato il boicottaggio di un nuovo medicinale antiallergico commercializzato dal gruppo, la Hoechst-Marion-Roussel annuncia la cessione senza contropartite dei diritti della molecola di mifepristone e dei suoi derivati per tutto il mondo -a eccezione degli Stati Uniti- a Edouard Sakiz, ex dirigente della Roussel-Uclaf, allora in pensione. Nessuna ditta farmaceutica accetta il prodotto. Medico endocrinologo, Edouard Sakiz e’ un fervente partigiano dell’RU486 che ha sostenuto durante i suoi trentuno anni di carriera presso la Roussel-Uclaf. Gia’ nel 1958 era stato ferito dal rifiuto del suo predecessore nell’azienda di sviluppare la ricerca sulla pillola contraccettiva. Scrive: “La concezione etica di un solo uomo ha privato il gruppo di un grande mercato e di una famamondiale”. Dal giorno stesso in cui i diritti vengono trasferiti, la Roussel-Uclaf blocca la produzione dell’RU486. Un mese dopo, il dottor Sakiz crea la sua societa’, Exelgyn, con un capitale personale di 75 milioni di lire. Nell’aprile 1999 la casa farmaceutica Exelgyn avvia le procedure per le autorizzazioni di immissione sul mercato europeo della pillola RU486.
Oltre che negli Stati Uniti e in Svizzera in Europa e’ distribuita inGran Bretagna, Svezia, Spagna, Olanda, Germania, Austria, Danimarca, Finlandia e Belgio. I Paesi che hanno chiesto l’autorizzazione sono Norvegia, Lussemburgo e Grecia. In Italia, Irlanda e Portogallo il prodotto non e’ mai stato registrato.
La polemica risveglia un passato che la ditta tedesca vorrebbe dimenticare. IG Farben, la conglomerata di cui Hoechst faceva parte, durante la seconda guerra mondiale non ha forse prodotto lo Zyclon B, il gas utilizzato nei campi di sterminio? Il 16 maggio 1994, i diritti dell’RU486 sono “graziosamente” ceduti sul territorio Usa a una Organizzazione non Governativa, la Population Council.
Nel dicembre 1996, Hoechst lancia una Opa su Roussel-Uclaf. Tre mesi dopo il gruppo Roussel-Uclaf non esiste piu’ e si parla ormai del gruppo Hoechst-Marion-Roussel. L’8 aprile 1997, una settimana dopo che i militanti anti-abortisti avevano proclamato il boicottaggio di un nuovo medicinale antiallergico commercializzato dal gruppo, la Hoechst-Marion-Roussel annuncia la cessione senza contropartite dei diritti della molecola di mifepristone e dei suoi derivati per tutto il mondo -a eccezione degli Stati Uniti- a Edouard Sakiz, ex dirigente della Roussel-Uclaf, allora in pensione. Nessuna ditta farmaceutica accetta il prodotto. Medico endocrinologo, Edouard Sakiz e’ un fervente partigiano dell’RU486 che ha sostenuto durante i suoi trentuno anni di carriera presso la Roussel-Uclaf. Gia’ nel 1958 era stato ferito dal rifiuto del suo predecessore nell’azienda di sviluppare la ricerca sulla pillola contraccettiva. Scrive: “La concezione etica di un solo uomo ha privato il gruppo di un grande mercato e di una fama mondiale”. Dal giorno stesso in cui i diritti vengono trasferiti, la Roussel-Uclaf blocca la produzione dell’RU486. Un mese dopo, il dottor Sakiz crea la sua societa’, Exelgyn, con un capitale personale di 75 milioni di lire. Nell’aprile 1999 la casa farmaceutica Exelgyn avvia le procedure per le autorizzazioni di immissione sul mercato europeo della pillola RU486.
 
LA LEGGE N. 194 (1978)
Se nel 1978 era conosciuto solo l’aborto chirugico, metodo per aspirazione, nella L 194 non e’ specificato che quello sia l’unico metodo. Anzi a ben leggere nella legge, l’art. 14 “Il medico che esegue l’interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite, nonché a renderla partecipe dei procedimenti abortivi, che devono comunque essere attuati in modo da rispettare la dignità personale della donna”, e parlando di procedimenti sembra proprio prevedere la possibilita’ che altri metodi si aggiungano a quello chirurgico: il plurale utilizzato nella legge preannuncia una pluralita’ di procedimenti. Ma ancora l’art. 15: “Le regioni, d’intesa con le università e con gli enti ospedalieri, promuovono l’aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza” sembra proprio auspicare un aggiornamento delle tecniche piu’ avanzate, in contraddizione con la situazione attuale bloccata ad un metodo sempre valido, ma in alcuni casi certamente superato da quello farmacologico.
  
Legge n.194 del 22 maggio 1978
Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza.
Articolo 1 
Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. 
L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. 
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite. 
Articolo 2 
I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza: 
a) informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio; 
b) informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante; 
c) attuando direttamente o proponendo allo ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a); 
d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza. 
I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita. 
La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori. 
Articolo 3 
Anche per l’adempimento dei compiti ulteriori assegnati dalla presente legge ai consultori familiari, il fondo di cui all’articolo 5 della legge 29 luglio 1975, n. 405, è aumentato con uno stanziamento di L. 50.000.000.000 annui, da ripartirsi fra le regioni in base agli stessi criteri stabiliti dal suddetto articolo. 
Alla copertura dell’onere di lire 50 miliardi relativo all’esercizio finanziario 1978 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto nel capitolo 9001 dello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro per il medesimo esercizio. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio. 
Articolo 4 
Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia. 
Articolo 5 
Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto. 
Quando la donna si rivolge al medico di sua fiducia questi compie gli accertamenti sanitari necessari, nel rispetto della dignità e della libertà della donna; valuta con la donna stessa e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, anche sulla base dell’esito degli accertamenti di cui sopra, le circostanze che la determinano a chiedere l’interruzione della gravidanza; la informa sui diritti a lei spettanti e sugli interventi di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori e le strutture socio-sanitarie. 
Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante l’urgenza. 
Con tale certificato la donna stessa può presentarsi ad una delle sedi autorizzate a praticare la interruzione della gravidanza. 
Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell’incontro il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla base delle circostanze di cui all’articolo 4, le rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette giorni, la donna può presentarsi, per ottenere la interruzione della gravidanza, sulla base del documento rilasciatole ai sensi del presente comma, presso una delle sedi autorizzate. 
Articolo 6 
L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: 
a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; 
b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. 
Articolo 7 
I processi patologici che configurino i casi previsti dall’articolo precedente vengono accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico dell’ente ospedaliero in cui deve praticarsi l’intervento, che ne certifica l’esistenza. 
Il medico può avvalersi della collaborazione di specialisti. Il medico è tenuto a fornire la documentazione sul caso e a comunicare la sua certificazione al direttore sanitario dell’ospedale per l’intervento da praticarsi immediatamente. 
Qualora l’interruzione della gravidanza si renda necessaria per imminente pericolo per la vita della donna, l’intervento può essere praticato anche senza lo svolgimento delle procedure previste dal comma precedente e al di fuori delle sedi di cui all’articolo 8. In questi casi, il medico è tenuto a darne comunicazione al medico provinciale. 
Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto. 
Articolo 8 
L’interruzione della gravidanza è praticata da un medico del servizio ostetrico-ginecologico presso un ospedale generale tra quelli indicati nell’articolo 20 della legge 12 febbraio 1968, numero 132, il quale verifica anche l’inesistenza di controindicazioni sanitarie. 
Gli interventi possono essere altresì praticati presso gli ospedali pubblici specializzati, gli istituti ed enti di cui all’articolo 1, penultimo comma, della legge 12 febbraio 1968, n. 132, e le istituzioni di cui alla legge 26 novembre 1973, numero 817, ed al decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1958, n. 754, sempre che i rispettivi organi di gestione ne facciano richiesta. 
Nei primi novanta giorni l’interruzione della gravidanza può essere praticata anche presso case di cura autorizzate dalla regione, fornite di requisiti igienico-sanitari e di adeguati servizi ostetrico-ginecologici. 
Il Ministro della sanità con suo decreto limiterà la facoltà delle case di cura autorizzate, a praticare gli interventi di interruzione della gravidanza, stabilendo: 
1) la percentuale degli interventi di interruzione della gravidanza che potranno avere luogo, in rapporto al totale degli interventi operatori eseguiti nell’anno precedente presso la stessa casa di cura; 
2) la percentuale dei giorni di degenza consentiti per gli interventi di interruzione della gravidanza, rispetto al totale dei giorni di degenza che nell’anno precedente si sono avuti in relazione alle convenzioni con la regione. 
Le percentuali di cui ai punti 1) e 2) dovranno essere non inferiori al 20 per cento e uguali per tutte le case di cura. Le case di cura potranno scegliere il criterio al quale attenersi, fra i due sopra fissati. 
Nei primi novanta giorni gli interventi di interruzione della gravidanza dovranno altresì poter essere effettuati, dopo la costituzione delle unità socio-sanitarie locali, presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla regione. 
Il certificato rilasciato ai sensi del terzo comma dell’articolo 5 e, alla scadenza dei sette giorni, il documento consegnato alla donna ai sensi del quarto comma dello stesso articolo costituiscono titolo per ottenere in via d’urgenza l’intervento e, se necessario, il ricovero. 
Articolo 9 
Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell’obiettore deve essere comunicata al medico provinciale e, nel caso di personale dipendente dello ospedale o dalla casa di cura, anche al direttore sanitario, entro un mese dall’entrata in vigore della presente legge o dal conseguimento della abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette alla interruzione della gravidanza o dalla stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l’esecuzione di tali prestazioni. 
L’obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al precedente comma, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico provinciale. 
L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. 
Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale. 
L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. 
L’obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto, immediato, se chi l’ha sollevata prende parte a procedure o a interventi per l’interruzione della gravidanza previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi di cui al comma precedente. 
Articolo 10 
L’accertamento, l’intervento, la cura e la eventuale degenza relativi alla interruzione della gravidanza nelle circostanze previste dagli articoli 4 e 6, ed attuati nelle istituzioni sanitarie di cui all’articolo 8, rientrano fra le prestazioni ospedaliere trasferite alle regioni dalla legge 17 agosto 1974, n. 386. 
Sono a carico della regione tutte le spese per eventuali accertamenti, cure o degenze necessarie per il compimento della gravidanza nonché per il parto, riguardanti le donne che non hanno diritto all’assistenza mutualistica. 
Le prestazioni sanitarie e farmaceutiche non previste dai precedenti commi e gli accertamenti effettuati secondo quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 5 e dal primo comma dell’articolo 7 da medici dipendenti pubblici, o che esercitino la loro attività nell’ambito di strutture pubbliche o convenzionate con la regione, sono a carico degli enti mutualistici, sino a che non sarà istituito il servizio sanitario nazionale. 
Articolo 11 
L’ente ospedaliero, la casa di cura o il poliambulatorio nei quali l’intervento è stato effettuato sono tenuti ad inviare al medico provinciale competente per territorio una dichiarazione con la quale il medico che lo ha eseguito dà notizia dell’intervento stesso e della documentazione sulla base della quale è avvenuto, senza fare menzione dell’identità della donna. 
Le lettere b) e f) dell’articolo 103 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con il regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, sono abrogate. 
Articolo 12 
La richiesta di interruzione della gravidanza secondo le procedure della presente legge è fatta personalmente dalla donna. 
Se la donna è di età inferiore ai diciotto anni, per l’interruzione della gravidanza è richiesto lo assenso di chi esercita sulla donna stessa la potestà o la tutela. Tuttavia, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di cui all’articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza. 
Qualora il medico accerti l’urgenza dell’intervento a causa di un grave pericolo per la salute della minore di diciotto anni, indipendentemente dall’assenso di chi esercita la potestà o la tutela e senza adire il giudice tutelare, certifica l’esistenza delle condizioni che giustificano l’interruzione della gravidanza. Tale certificazione costituisce titolo per ottenere in via d’urgenza l’intervento e, se necessario, il ricovero. Ai fini dell’interruzione della gravidanza dopo i primi novanta giorni, si applicano anche alla minore di diciotto anni le procedure di cui all’articolo 7, indipendentemente dall’assenso di chi esercita la potestà o la tutela. 
Articolo 13 
Se la donna è interdetta per infermità di mente, la richiesta di cui agli articoli 4 e 6 può essere presentata, oltre che da lei personalmente, anche dal tutore o dal marito non tutore, che non sia legalmente separato. 
Nel caso di richiesta presentata dall’interdetta o dal marito, deve essere sentito il parere del tutore. La richiesta presentata dal tutore o dal marito deve essere confermata dalla donna. 
Il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, trasmette al giudice tutelare, entro il termine di sette giorni dalla presentazione della richiesta, una relazione contenente ragguagli sulla domanda e sulla sua provenienza, sull’atteggiamento comunque assunto dalla donna e sulla gravidanza e specie dell’infermità mentale di essa nonché il parere del tutore, se espresso. 
Il giudice tutelare, sentiti se lo ritiene opportuno gli interessati, decide entro cinque giorni dal ricevimento della relazione, con atto non soggetto a reclamo. 
Il provvedimento del giudice tutelare ha gli effetti di cui all’ultimo comma dell’articolo 8. 
Articolo 14 
Il medico che esegue l’interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite, nonché a renderla partecipe dei procedimenti abortivi, che devono comunque essere attuati in modo da rispettare la dignità personale della donna. 
In presenza di processi patologici, fra cui quelli relativi ad anomalie o malformazioni del nascituro, il medico che esegue l’interruzione della gravidanza deve fornire alla donna i ragguagli necessari per la prevenzione di tali processi. 
Articolo 15 
Le regioni, d’intesa con le università e con gli enti ospedalieri, promuovono l’aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza. Le regioni promuovono inoltre corsi ed incontri ai quali possono partecipare sia il personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sia le persone interessate ad approfondire le questioni relative all’educazione sessuale, al decorso della gravidanza, al parto, ai metodi anticoncezionali e alle tecniche per l’interruzione della gravidanza. 
Al fine di garantire quanto disposto dagli articoli 2 e 5, le regioni redigono un programma annuale d’aggiornamento e di informazione sulla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali esistenti nel territorio regionale. 
Articolo 16 
Entro il mese di febbraio, a partire dall’anno successivo a quello dell’entrata in vigore della Presente legge, il Ministro della sanità presenta al Parlamento una relazione sull’attuazione della legge stessa e sui suoi effetti, anche in riferimento al problema della prevenzione. 
Le regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di gennaio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal Ministro. 
Analoga relazione presenta il Ministro di grazia e giustizia per quanto riguarda le questioni di specifica competenza del suo Dicastero. 
Articolo 17 
Chiunque cagiona ad una donna per colpa l’interruzione della gravidanza è punito con la reclusione da tre mesi a due anni. 
Chiunque cagiona ad una donna per colpa un parto prematuro è punito con la pena prevista dal comma precedente, diminuita fino alla metà. 
Nei casi previsti dai commi precedenti, se il fatto è commesso con la violazione delle norme poste a tutela del lavoro la pena è aumentata. 
Articolo 18 
Chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna è punito con la reclusione da quattro a otto anni. Si considera come non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l’inganno. La stessa pena si applica a chiunque provochi l’interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna. 
Detta pena è diminuita fino alla metà se da tali lesioni deriva l’acceleramento del parto. 
Se dai fatti previsti dal primo e dal secondo comma deriva la morte della donna si applica la reclusione da otto a sedici anni; se ne deriva una lesione personale gravissima si applica la reclusione da sei a dodici anni; se la lesione personale è grave questa ultima pena è diminuita. 
Le pene stabilite dai commi precedenti sono aumentate se la donna è minore degli anni diciotto. 
Articolo 19 
Chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la reclusione sino a tre anni. 
La donna è punita con la multa fino a lire centomila. 
Se l’interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l’accertamento medico dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell’articolo 6 o comunque senza l’osservanza delle modalità previste dall’articolo 7, chi la cagiona è punito con la reclusione da uno a quattro anni. 
La donna è punita con la reclusione sino a sei mesi. 
Quando l’interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l’osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile. 
Se dai fatti previsti dai commi precedenti deriva la morte della donna, si applica la reclusione da tre a sette anni; se ne deriva una lesione personale gravissima si applica la reclusione da due a cinque anni; se la lesione personale è grave questa ultima pena è diminuita. 
Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma. 
Articolo 20 
Le pene previste dagli articoli 18 e 19 per chi procura l’interruzione della gravidanza sono aumentate quando il reato è commesso da chi ha sollevato obiezione di coscienza ai sensi dell’articolo 9. 
Articolo 21 
Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 326 del codice penale, essendone venuto a conoscenza per ragioni di professione o di ufficio, rivela l’identità – o comunque divulga notizie idonee a rivelarla – di chi ha fatto ricorso alle procedure o agli interventi previsti dalla presente legge, è punito a norma dell’articolo 622 del codice penale. 
Articolo 22 
Il titolo X del libro II del codice penale è abrogato. 
Sono altresì abrogati il n. 3) del primo comma e il n. 5) del secondo comma dell’articolo 583 del codice penale. 
Salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, non è punibile per il reato di aborto di donna consenziente chiunque abbia commesso il fatto prima dell’entrata in vigore della presente legge, se il giudice accerta che sussistevano le condizioni previste dagli articoli 4 e 6.

DUE METODI ABORTIVI A CONFRONTO

Mifegyne (RU 486)
Metodo farmacologico per l’interruzione precoce di gravidanza

L’Unione svizzera per decriminalizzare l’aborto (USPDA) www.svss-uspda.ch cosi’ spiega il funzionamento della RU486 rispetto al piu’ tradizionale metodo dell’aspirazione.

Dal 22 ottobre 1999 la Mifegyne e’ autorizzata in Svizzera. Poco a poco diventa accessibile negli ospedali e presso certi studi medici.
 
Come procedere
IMPORTANTE: se non e’ sicura se e’ rimasta incinta, faccia rapidamente un test di gravidanza. Se il test e’ positivo e ha l’intenzione di interrompere la gravidanza, si rivolga immediatamente ad un medico oppure ad un centro di pianificazione familiare.
Se ha deciso di interrompere la gravidanza, puo’ decidere a quale metodo ricorrere.
 
I due metodi per effettuare l’interruzione della gravidanza: 
Metodo chirurgico
(per aspirazione)
 
L’aspirazione puo’ generalmente essere effettuata entro le 14 settimane a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione. L’intervento viene eseguito in ospedale o presso uno studio medico, sia come ambulante (dopo poche ore si puo’ tornare a casa) sia come degente (restando anche di notte). A volte, per facilitare l’intervento, il collo dell’utero viene rilassato con un farmaco (prostaglandina), da prendersi o il giorno precedente o il giorno stesso dell’intervento.
 
L’intervento operatorio avviene sotto narcosi (anestesia generale) oppure sotto anestesia locale. Il collo dell’utero viene dilatato cautamente con dilatatori metallici fino ad un diametro da 6 a 12 mm. Viene in seguito inserita una fine canula per l’aspirazione che rimuove i tessuti embrionali dalla cavita’ uterina. L’operazione dura circa 20 minuti. Il rientro a domicilio avviene tra le 2 a 8 ore seguenti l’intervento oppure il giorno dopo (cio’ dipende dal luogo dove e’ stato effettuato l’intervento).
 
Generalmente, una visita di controllo viene effettuata nelle due settimane seguenti l’intervento.
Metodo farmacologico
(Mifegyne con prostaglandina)
 
In Svizzera, questo metodo puo’ essere prescritto entro la 7a settimana a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione. L’interruzione viene effettuata ambulatoriamente, sia in clinica sia in uno studio medico, con due farmaci: la Mifegyne (conosciuta anche con il nome di RU 486) e una prostaglandina. La Mifegyne blocca gli effetti dell’ormone progesterone interrompendo lo sviluppo della gravidanza. La prostaglandina induce contrazioni uterine e provoca l’espulsione dei tessuti embrionali.
 
In presenza di personale medico, la donna assume tre compresse di Mifegyne. Poco dopo puo’ rientrare a casa. Due giorni dopo, due compresse di prostaglandina sono anch’esse prese nello studio medico o in clinica. La donna rimane in osservazione per alcune ore. Per circa due terzi delle donne l’espulsione dei tessuti embrionali avviene in questo periodo, per alcune avviene piu’ tardi a casa. A questo stadio molto precoce, l’embrione misura tra i 2 e gli 8 mm, a seconda della durata della gravidanza.
 
Circa due settimane dopo la presa della prostaglandina viene effettuata una visita di controllo.

 Si noti che la procedura puo’ essere leggermente differente da quella descritta a seconda del luogo dove e’ praticato l’intervento

 
 
Effetti secondari
Metodo chirurgico
Metodo farmacologico
Dolori:
L’intervento viene effettuato in anestesia locale o sotto narcosi. A volte ci possono essere dei dolori dopo l’intervento oppure brevemente durante l’intervento stesso in caso di anestesia locale. Se del caso, le verranno somministrati degli antidolorifici. Solitamente vi sono dei crampi addominali leggermente piu’ dolorosi di quelli mestruali, che cessano rapidamente. A volte questi dolori possono essere piu’ forti o perdurare. Se del caso, le verranno somministrati degli antidolorifici.
Perdite di sangue:
Solitamente le perdite di sangue dopo l’intervento sono meno abbondanti di una mestruazione normale e durano 4 a 5 giorni. Solitamente dopo l’espulsione vi sono perdite di sangue un po’ piu’ abbondanti di una mestruazione normale. Durano circa 9 giorni, in alcuni casi anche piu’ a lungo.
Nausea/Diarrea:
La narcosi puo’ provocare nausea. La prostaglandina puo’ provocare nausea ed una leggera diarrea.
Rischi e complicazioni

I rischi sono piccoli per entrambi i metodi. Le complicazioni gravi occorrono in meno dell’uno per cento dei casi. Raramente si manifestano ulteriori problemi di salute. L’intervento non aumenta il rischio di non piu’ poter avere bambini ulterioramente. I problemi psichici non sono piu’ frequenti con il metodo farmacologico che non quello chirurgico. 

Complicazioni possibili:
Metodo chirurgico
Metodo farmacologico
– Traumi o ferite al collo dell’utero e/o alla parete uterina. 
– Infezioni. 
– Forti perdite di sangue. 
– Eliminazione incompleta dei tessuti embrionali con conseguente necessita’ di una seconda aspirazione. 
– Coaguli vascolari (trombosi)
– Forti perdite di sangue o espulsione incompleta, con conseguente necessita’ di una aspirazione per eliminare i resti dei tessuti embrionali rimasti nella cavita’ uterina. 
– Insuccesso del metodo e continuazione della gravidanza. In questo caso e’ necessaria un’ulteriore aspirazione (intervento chirurgico).

 Confronto dei due metodi

Entrambi i metodi sono efficaci e sicuri. In rari casi il medico deve sconsigliare l’uno o l’altro per ragioni legate alla salute della donna coinvolta.
Esistono pero’ delle differenze riguardanti il periodo entro il quale la donna si deve decidere e anche riguardanti la percezione dei due metodi. E’ importante tenere conto di queste differenze.
L’interruzione farmacologica si offre per le donne che sono giunte rapidamente alla chiara decisione di interrompere la gravidanza. Le donne che si decidono piu’ tardi o hanno bisogno di un tempo di riflessione piu’ esteso, devono ricorrere all’intervento chirurgico.
 
Le differenze piu’ importanti nella percezione dell’intervento:
 
Metodo chirurgico
Metodo farmacologico
– Operazione, eventualmente sotto narcosi. 
– Il momento dell’intervento e’ pianificato e ben determinato. L’operazione dura poco tempo. 
– Di regola l’intervento non viene effettuato prima della 7a settimana. 
– Si ha piu’ tempo a disposizione per prendere una decisione. 
– Se effettuato sotto narcosi, l’intervento non e’ vissuto coscientemente. 
– Di solito le perdite di sangue dopo l’operazione sono poco abbondanti e di breve durata. 
– Dolori prolungati sono rari. 
– In oltre 95% dei casi un ulteriore intervento chirurgico non e’ necessario. Non c’e’ bisogno di narcosi. 
– Il procedimento e’ di tre giorni. 
– L’interruzione puo’ essere praticata molto precocemente, il che e’ sovente percepito come un sollievo psichico. 
– L’espulsione e’ vissuta coscientemente. 
– Molte donne ritengono che il metodo farmacologico e’ piu’ naturale. 
– Maggiore responsabilita’ personale.
– Perdite di sangue piu’ prolungate. 
– Dolori addominali che durano piu’ o meno a lungo.

  

Rielaborazione personale dall’ articolo originale tratto dal sito dell’Aduc, redatto in collaborazione con la dott.ssa Judit Pók, ginecologo a Zurigo da Lucia Ritter e Kurt Pfister. COSAN Sarl, Volketswil/ Zurigo (Novembre 1999)

industria alimentare: video inguardabili

L’inferno esiste, ma non è sotto ai piedi. E’ sulla Terra: gli animali sono dannati che soffrono in eterno, e noi siamo i demoni.
Ecco le sofferenze che ogni anno infliggiamo a 48 miliardi di animali.

La maggioranza delle industrie alimentari tengono conto solo del profitto economico. Gli animali vengono allevati in condizioni pazzesche e trasformati in cibo nel modo più economicamente efficiente possibile.

Non servono commenti…i video si commentano da soli.
Siate consumatori consapevoli e responsabili.

Africa: la mappa della “abitabilità”

africa pop density

Questa immagine mi è sembrata tanto bella semplice e potenzialmente utile che ho voluto pubblicarla subito.
Non c’è proprio bisogno d’aggiungere nulla.
Si spiega da se.

Per la salute delle donne in Nicaragua

Una dottoressa che consiglia una paziente© IpasPrima nessuna donna era costretta a sottoporsi a un certo tipo di cure… [una donna] aveva tutto il diritto di dire ‘sono consapevole dei rischi, so che potrei morire, ma decido comunque di portare avanti la gravidanza’… allo stesso modo una donna poteva dirmi, ‘mi rende triste interrompere questa gravidanza, ma voglio curare il mio cancro’ e io ero in grado di rispettare il suo diritto di scegliere per la propria vita.”
Medico nicaraguense intervistato da Amnesty International, novembre 2008

Il divieto assoluto di abortire, in vigore dal luglio 2008 in Nicaragua, mette in pericolo la vita delle donne e delle ragazze, negando loro trattamenti salvavita, impedendo agli operatori sanitari di fornire cure mediche efficaci e contribuendo all’aumento della mortalità materna in tutto il paese.
Il nuovo codice penale del Nicaragua prevede pene detentive per le donne e le ragazze che cercano di abortire e per gli operatori sanitari che forniscono servizi associati all’aborto. Le nuove disposizioni di legge introducono, inoltre, sanzioni penali per medici e infermiere che forniscono cure a donne o a ragazze malate di cancro o malaria, che abbiano contratto il virus dell’Hiv/Aids o abbiano una crisi cardiaca, qualora tali cure risultino controindicate in gravidanza e possano causare danni o la morte dell’embrione o del feto.

È molto probabile che l’impatto della legge sarà più forte per le donne e le ragazze appartenenti alle classi sociali meno abbienti. La mortalità materna produce già un effetto sproporzionato sulle donne e le ragazze che vivono in povertà. Con il divieto assoluto di aborto, le donne con scarse risorse economiche potrebbero essere spinte ad agire al di fuori della legge, mettendo in pericolo la loro salute e rischiando l’arresto: questa legge potrebbe quindi condurre a un incremento del numero di pericolosi aborti “fai da te”.

Amnesty International (AI) teme che, a causa dell’adozione di questa legge, il Nicaragua rischi di vanificare ogni progresso nella diminuzione della mortalità materna. Nell’ambito degli Obiettivi di sviluppo del millennio dell’Onu, le autorità nicaraguensi si sono impegnate a ridurre il tasso di mortalità materna del 75 per cento entro il 2015. La proibizione di ogni forma di aborto indebolisce seriamente l’impegno del governo del Nicaragua a raggiungere questo obiettivo chiave.

Amnesty International chiede al presidente del Nicaragua di assicurare a tutte le donne aborti legali e sicuri. Firma la petizione!

ECOPSICOLOGIA. Alla riscoperta della nostra Cittadinanza Terrestre

Sempre dal sito LifeGate, ho trovato interessante, questo articolo.
Buon fine settimana a tutti, possibilmente a contatto con la splendida natura! 🙂

I parchi puntano sull’ecopsicologia

“Occorre aprire l’anima all’amore per questo pianeta”… ma come si fa? Questo è il campo dell’ecopsicologia e tre parchi italiani si stanno attrezzando per rispondere a una esigenza non solo didattica ma anche psicologica di natura.

L’antica e profonda tradizione contadina ancora viva in Italia – per cui è ancora molti annoverano tra i loro ricordi le passeggiate nei campi coi nonni o coi genitori, i giochi nelle campagne, le avventure sugli alberi e i giochi nell’acqua dei ruscelli – hanno preservato per qualche decennio in più la popolazione italiana dalla Sindrome di Deficit di Natura.

Così viene definita nei manuali psichiatrici più aggiornati (NDD – Nature Deficit Desorder) quell’insieme di insicurezza, iperattività, piccole fobie, incapacità di concentrarsi, difficoltà a socializzare, che  – principalmente negli Stati Uniti, ma sempre più frequentemente anche in altre aree ad alto tasso di urbanizzazione nel mondo – caratterizza un numero crescente di persone, in particolare giovani.

Questa è la denuncia, dati alla mano, che lo psicoterapeuta Richard Louv fa nel suo libro L’ultimo bambino dei Boschi (Rizzoli, 2006), ed è la premessa sulla quale, già all’inizio degli anni ‘90 ha preso vita in California l’Ecopsicologia, un movimento che vede uniti psicologi, counselor e guide naturalistiche con un obiettivo comune:
– lenire la sofferenza esistenziale individuale riportando le persone a contatto con la natura, per aiutarle a ritrovare una relazione più autentica con se stesse
– e lenire il degrado ambientale riportando le persone a una maggior consapevolezza delle profonde connessioni, a livello individuale e di specie sapiens sapiens, con la natura, risvegliando il senso di appartenenza al pianeta.

Ormai, anche in Italia, i bambini che crescono giocando liberi sui prati e nei boschi, che si costruiscono i costumi da indiani cucendo tra loro le foglie dei castagni e passano le ore a cercare personaggi immaginari nelle cangianti forme delle nuvole sono sempre meno, e sono sempre di più i genitori che non permettono loro di sporcarsi, di prendere la pioggia, di toccare animaletti sconosciuti e a volte neppure quelli conosciuti. Insegnanti di scuole materne  denunciano sempre più frequentemente il disagio dei bimbi più piccoli nel contatto con quel poco di natura che ancora è possibile incontrare in un nido standard, e agli educatori ambientali vengono richiesti sempre più spesso interventi soltanto didattici in cui il gioco, l’avventura, il contatto diretto con gli elementi (che equivale, inevitabilmente, a sporcarsi) devono essere evitati…  per non dare adito alle proteste dei genitori.

E, allora, è arrivato anche in Italia il momento di correre ai ripari e di creare nuovi progetti ricreativi che abbiamo anche una valenza formativa e permettano agli adulti a alle famiglie, adulti e bambini insieme, la possibilità di ritrovare il perduto equilibro e di venire accompagnati nel ritrovare un rapporto amichevole e di contatto diretto con la  natura.

I Parchi e le aree protette sono gli ambiti ottimali per attivare questo processo di riconnessione tra individuo e ambiente naturale, attraverso attività che non soddisfino solo la curiosità intellettuale – il nome del fiorellino o dell’animaletto – ma che sappiano evocare emozioni e valori, consapevolezza e riflessioni.

La sfide è quella di creare una rosa di esperienze in grado di:
– ridestare lo stupore davanti a un mondo che è molto più ampio e interessante di quanto crediamo
– invitare all’incontro e al dialogo con creature altre, animate e inanimate
– stimolare l’innata sete di bellezza che risiede nel cuore di ogni figlio dell’uomo
– favorire la creazione di relazioni più autentiche, con il mondo, con gli altri e anche con se stessi
– far scoprire il potere del silenzio e il dialogo con diversi elementi con la natura, come occasione di dialogo più profondo con se stessi.

Una sfida che l’ecopsicologia accompagna ad affrontare. E un consorzio di Parchi dell’Emilia Romagna ha deciso di puntare in questa direzione per la formazione delle sue guide e per la realizzazione di un programma coordinato di offerte di visita nei Parchi e nelle Riserve Naturali con la duplice valenza – locale – di promozione dl territorio e – globale – di sensibilizzazione ed educazione al risveglio del senso di appartenenza e compartecipazione al mondo naturale e al pianeta Terra.

Il progetto nasce nell’ambito del Parco dei Sassi di Roccamalatina e interessa il territorio protetto di media collina e montagna modenesi comprendendo anche il Parco dell’Alto Appennino Modenese e la Riserva Naturale di Sassoguidano. E’ iniziata a ottobre 2009 la prima fase di aggiornamento professionale delle guide del Parco con l’obiettivo di mettere a punto un ampio programma di attività rivolte al pubblico tra la primavera del 2010 e al primavera 2011.

Il progetto prevede la creazione di una serie coordinata di appuntamenti per arricchire il turismo verde tradizionale con momenti guidati di sperimentazione pratica di alcune delle tecniche dell’Ecopsicologia volte a creare un maggior senso di connessione e coinvolgimento nei confronti dell’ambiente. La sperimentazione potrà anche essere condotta in piena autonomia seguendo un prontuario di pratiche ecopsicologicamente orientate nei Parchi – che verrà pubblicato all’inizio del 2010 e distribuito gratuitamente (sarà scaricabile anche on line) – con consigli e suggerimenti per mantenere più vivo il rapporto con la natura anche in città e con esercizi pratici da svolgere all’aperto, da soli, in gruppo o in famiglia.

Un ulteriore passo verso la consapevolezza della nostra cittadinanza terrestre.

MARE MONSTRUM. Le “Navi dei Veleni” 16 anni dopo Ilaria Alpi

Le NAVI FANTASMA del MEDITERRANEO:
non si sa quante sono, e cosa nascondono sul fondo degli abissi.
Di sicuro, minacciano la natura, e la nostra salute. A cominciare dalla regione più a rischio: la Calabria
Qui il link al video di Repubblica TV del 2010-02-25
Ilaria Alpi  e Miran Hrovatin indagavano su queste Navi dei Veleni affondate e su altre Navi che solcano ancora i nostri mari trasportando armi, sostanze tossiche e radioattive.
Ad oggi possono essere considerate anche loro VITTIME di MAFIA.
Come VITTIMA di  MAFIA  può essere considerato il nostro meraviglioso e unico nella sua diversità MAR MEDITERRANEO e con lui giorno per giorno noi CITTADINI ITALIANI!

Le “navi dei veleni” sono un crimine contro l’umanità.
Cosenza – Non è facile affrontare la questione delle navi dei veleni non perché si tratti di qualcosa di cui non ci sono fonti o documentazioni, ma proprio perché ce ne sono troppi e l’indifferenza dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni è stata decisiva per determinare la situazione odierna che si presenta disperata.
Nonostante l’impegno congiunto dell’assessore all’ambiente della Regione Calabria Silvio Greco e del Ministero dell’Ambiente, non si può esprimere ottimismo e minimizzare la situazione perché le dichiarazioni del pentito di ‘ndrangheta Francesco Fonti non sono recenti, ma risalgono al 2005. Grazie al Fonti è stato ritrovato, a largo di Cetraro, il relitto della Cunsky, ma questa è solo una di chissà quante navi colate a picco senza un motivo apparente e chissà con quale carico a bordo; le sue dichiarazioni si sono dimostrate attendibili e non riguardano solo la Cunsky. Proprio per questo la priorità di uno Stato che scopre di essere avvelenato in maniera subdola da anni dovrebbe essere quella di cercare tutte le altre navi che giaciono in mare.
Il problema è, però, ampio, troppo ampio: qui non si tratta solo di organizzazioni mafiose che smaltiscono rifiuti pericolosi in maniera illegale perché, banalmente, i rifiuti non sono loro, ma di chi commissiona gli affondamenti delle navi perché meno costoso e più remunerativo allo stesso tempo. Non serve cercare solo gli esecutori, perché il problema è alla fonte: i mandanti non sembrerebbero essere solo le industrie, produttrici delle pericolose scorie della loro attività, ma anche i servizi segreti (almeno secondo le dichiarazioni del Fonti) impegnati a far viaggiare sulle stesse rotte anche le armi.


La vicenda non si esaurisce nei confini italiani, perché lo smaltimento dei rifiuti radioattivi viaggia sulle rotte internazionali tra l’Africa e il Mediterraneo e coinvolge numerosi Stati e organizzazioni criminali, come scoperto da Ilaria Alpi e Miriam Hrovatin durante le loro inchieste sui traffici di rifiuti e armi con la Somalia prima del loro assassinio ormai 15 anni fa.
Proprio Fonti ha parlato della vicenda e si dice sicuro dei motivi di quella fine: «ho portato di persona rifiuti radioattivi nel Corno d’Africa. Quando arrivavamo al porto di Bosaso i militari italiani si voltavano dall’altra parte. Sono convinto che Ilaria Alpi è stata uccisa perché ha visto proprio lì cose che non doveva vedere».
Questo dovrebbe essere sufficiente a riaprire il caso chiuso nel 2006 dalla commissione “Ilaria Alpi” dall’On. Carlo Taormina (non è omonimia, è proprio il cosiddetto “principe del foro”, ndr) che ha riconosciuto come movente degli omicidi un tentativo di sequestro finito male; conclusione contestata da molti e che queste dichiarazioni smentiscono, insieme alle numerose prove emerse nel corso degli anni.
È impensabile quantificare i danni prodotti da questi traffici, perché di questo si tratta: lo smaltimento illecito di rifiuti è una delle prime fonti d’entrata delle organizzazioni criminali internazionali, soprattutto camorra e ‘ndrangheta. L’ecomafia rende più della droga perché meno rischiosa in termini di punizioni previste dalla legge, perché più nascosta di altre attività criminali dove ogni tanto si deve sparare, perché meno interessante per l’opinione pubblica che pensa che non la riguardi non percependo dei danni immediati a loro stessi.
Nel corso degli anni, però, in Calabria si è riscontrato un deterioramento dell’ecosistema marino e un aumento dei casi di tumori provenienti dal mare intossicato e radioattivo nella popolazione vicina alle coste (secondo il Ministero della Sanità, oltre 6000 dal 2006 a oggi). Non ci sono prove sulla connessione tra i rifiuti tossici nei fondali marini e l’insorgenza di tali malattie non perché non esistano, ma perché non sapendo da quanto tempo realmente vada avanti questa storia non si possono verificare con dei dati oggettivi. Su questa “ignoranza” prosperano i commerci illegali del traffico di rifiuti.
Un problema ambientale, sanitario, scientifico, legale, politico ed economico: non solo l’entità dei danni è da calcolare fino a oggi, ma deve essere proiettata nel futuro in termini di cure mediche, rimozione degli agenti inquinanti e messa in sicurezza (le navi e il loro carico pericoloso necessitano di trattamenti particolari e di siti di stoccaggio) e bonifica dei siti inquinati. Parlando di rifiuti radioattivi, in molti casi, non bastano 10 vite a fare tutto ciò.
Ieri Legambiente, per bocca del vicepresidente nazionale Sebastiano Venneri, si è dichiarata pronta a costituirsi parte civile in un eventuale processo contro esecutori e mandanti degli affondamenti, durante un incontro con il procuratore di Paola, Bruno Giordano. Venneri ha ribadito il concetto espresso più volte, non solo da Legambiente, che «le prove emerse dalle indagini dei magistrati (senza dimenticare le inchieste sulla Jolly Rosso del comandante Natale De Grazia morto nel 1995, ndr), della commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, della commissione “Ilaria Alpi” non hanno portato a nulla».
Da Roma arrivano le dichiarazioni del presidente della Commissione d’inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti Gaetano Pecorella, il quale dovrebbe ascoltare il Fonti la prossima settimana e acquisire tutta la documentazione esistente non solo sul caso Alpi, ma su tutte le denunce effettuate negli ultimi anni. Sembra assurdo, ma è proprio così: c’è già tutto, scritto nero su bianco o fotografato in maniera nitida, ma non è mai servito a nulla, fino ad oggi.
Tutto questo è, in ultima analisi, possibile per la scarsa attenzione mediatica sul tema ecomafia che non aiuta l’opinione pubblica a percepire come il problema sia di tutti perché può colpire chiunque in ogni momento, pur senza che uno se ne renda conto; è la cittadinanza attiva la prima arma contro l’arroganza dei criminali mafiosi e di chi si rivolge a loro preferendo un’economica (?) e vigliacca illegalità alle proprie responsabilità.
Le “navi a perdere” sono un crimine contro l’umanità e in nome di questa vale la pena resistere.

Sedici anni senza Ilaria ma le navi su cui indagava solcano ancora i mari
01 MARZO 2010
Ilaria Alpi morì 16 anni fa in Somalia indagando su traffici di rifiuti pericolosi e armi. Nei suoi ultimi giorni di vita tentò di individuare alcune delle navi coinvolte in questi flussi illegali che come si ipotizzò successivamente avrebbero visti coinvolti anche uomini del Sismi, il servizio di intelligence italiano. Nel marzo 1994 Ilaria riuscì ad intervistare Abdullahi Mussa Yussuf, bogor , sultano di Bosaso, una carica già all’epoca priva di ogni reale potere. In quell’occasione il sultano decaduto rifiutò di rivelarle, tra sorrisi e ammiccamenti, i nomi e la locazione delle navi coinvolte nei presunti traffici di armi e rifiuti tossici.
«Affitta un satellite», le disse il bogor nell’ultima video intervista,« il pane te lo devi guadagnare» . Il girato di quella cassetta dura solo 20 minuti e presenta numerosi tagli e interruzioni. «Strano – ebbe a dire Mussa Yussuf interrogato dai magistrati italiani – l’intervista durò almeno due ore e mezzo e Ilaria mi chiese se le navi venivano usate per trasportare armi».
Quel giorno la Alpi telefonò al suo collega Flavio Fusi parlando di «roba che scotta, cose importanti» che non poteva nominare al telefono «per motivi di sicurezza» .
Pochi giorni dopo quella conversazione, il 20 marzo ’94, Ilaria Alpi ed il suo operatore Miran Hrovatin furono uccisi a Mogadiscio da un commando armato. I due giornalisti che accorsero inutilmente in loro soccorso e ripresero la scena del delitto furono trovati morti tempo dopo in strane circostanze. Proprio per quel 20 marzo Ilaria aveva previsto di inviare in Italia il primo servizio sui fatti da lei scoperti. Ilaria non c’è più, cos’erano e dove sono finite le navi per cui perse la vita?

Il contesto: la Shifco, Mugne e gli appalti italiani
Proprietaria di quelle navi era la Shifco (Somali High Seas Fishing Company), una compagnia somala di pesca che gestiva all’epoca sei navi. Amministratore delegato della società era Omar Said Mugne, un ingegnere italo-somalo laureatosi nella Bologna rossa degli anni ’70 e all’epoca uomo di punta dell’Enfais, l’ente somalo di programmazione che curava i rapporti con le agenzie di cooperazione estere, Fai (Fondo Aiuti Italiano) compreso. Di lui Adriano Botta scrisse sull’Europeo: «Quando non utilizza jet privati, viaggia (ovviamente in prima classe) sui voli fra Roma e Mogadiscio con una frequenza impressionante». In Italia Mugne era a libro paga della cooperativa bolognese Edilter che all’epoca prendeva grossi appalti in Italia e Somalia grazie anche a buoni rapporti con socialisti e, com’è ovvio, comunisti. Ma non è tutto: Mugne conosceva e ha lavorato insieme con Giancarlo Marocchino, un italiano che aveva ottenuto alcuni appalti dalla Edilter e che fu tra i primi ad arrivare sul luogo dell’omicidio della Alpi e di Hrovatin dove fu filmato da ed intervistato da due giornalisti oggi non più tra noi ( uno di questi è morto in circostanze non chiare). Bizzarro il fatto che autista e scorta al momento dell’agguato del 20 marzo ’94, si allontanarono indisturbati, attualmente anche loro oggi non sono più tra noi. Mugne e Marrocchino avevano lavorato per la Saces, il consorzio – di cui Edilter faceva parte assieme a Astaldi e Cogefar- incaricato dalla cooperazione italiana di numerosi lavori nella Somalia del nord.
La trama è chiaramente complessa ma l’intreccio affaristico altrettanto evidente. Mugne, in perfetto conflitto di interessi, trattava con la cooperazione italiana per ottenere aiuti sotto forma di denaro e grandi opere pubbliche la cui realizzazione veniva assegnata a Saces o direttamente alla “sua” bolognese Edilter. Socialisti contenti, cooperative rosse felici e lui ed il suo clan ricoperti di soldi e potere. Ma probabilmente a Mugne o, a chi lo utilizzava, questo non bastava – o non poteva bastare – e le navi donategli dagli italiani dovevano essere utilizzarle per traffici più remunerativi e utili della pesca in alto mare. Fino a quel momento la cooperazione con l’Italia aveva fruttato alla Somalia ben 1.400 miliardi (decennio 1981-1991) di cui l’80% destinato a progetti “fisici”, grandi infrastrutture tra cui la strada asfaltata Garoe-Bosaso. 605 milioni di lire a km in un territorio spopolato, desertico e totalmente pianeggiante. Una cifra folle anche per l’Italia. Vincitore dell’appalto ovviamente fu Mugne col suo Saces. Di quel sistema la procura e la commissione parlamentare parlarono come di giro di corruzione che riusciva a muovere tangenti fino al 35-50 per cento fatturato delle aziende coinvolte. Cosa poteva esserci di peggio di una giornalista ficcanaso che rischiava con le sue indagini di scoperchiare tutto il sistema sbattendo il marcio direttamente sulle reti Rai, e magari in prima serata?
Mario Pasquali, La Voce, 19 settembre 2009
Una semplice compagnia di pescherecci
La Shifco nacque nel 1983 come joint-venture di pesca industriale tra l’Italia e la Somalia.
Della Shifco la commissione d’indagine del Senato ebbe a dire:
«Iniziato [il progetto di pesca oceanica, ndr] nel 1979 è passato attraverso vari disastri e insuccessi clamorosi, con i 5 pescherecci e la nave frigorifero. Era previsto un grosso impianto a Brava (la cittadina ove era nato l’ing. Mugne), fu avviato, ma non finito. […] Pesa il sospetto che l’intera iniziativa sia servita soprattutto ad arricchire – senza che ciò comporti necessariamente valutazioni di illiceità – gruppi di privati tanto italiani, quanto somali».
La Shifco, come risulta da una curiosa interrogazione (protocollata col codice P-2391/00) che l’allora europarlamentare Antonio Di Pietro fece alla Commissione europea, richiese nel 2008 l’autorizzazione all’esportazione di pesce negli stati Cee. Apprendiamo dall’interrogazione che con solo 5 navi la Shifco “riusciva”, secondo il fondatore dell’Italia dei Valori, a dare lavoro a 500 marinai italiani e 2000 lavoratori somali.
Cos’era successo? Mugne chiese l’autorizzazione alla Ue e la ottenne solo dopo le rassicurazioni di Francesco Sciortino, l’allora ambasciatore italiano in Somalia. Il 27 luglio 1998 Sciortino scrisse alla commissione di 700 famiglie ridotte sul lastrico in caso di diniego dell’autorizzazione all’esportazione in Europa. Il commissario incaricato della questione, Emma Bonino, si fidò così come prese per buona la smentita di Sciortino – “solo voci” – circa le allora già ben note accuse di traffico d’armi rivolte all’amministratore della Shifco. Le voci infatti erano ben tre: la prima datata 1993 quando il Sisde avvisò dell’arrivo a Livorno di una nave Shifco carica di armi e la seconda dell’anno successivo. Ecco cosa scriveva la polizia: «Il capitano della nave si identificherebbe in tale Mugne che avrebbe acquistato armi in Jugoslavia vendendole in Somalia e facendo ritorno in Italia con carichi di pesce». Il Sismi infine redasse un’informativa secondo la quale Mugne sarebbe stato «dedito a traffici di qualsiasi genere tra l’Europa e il Corno d’Africa, nonché sospettato di aver trasportato in Somalia una consistente partita di armi (costituita da artiglieria leggera e semovente, fucili Kalashnikov e altro), acquistata a Kiev».
Dopo tutto se Mugne non era né santo né poeta poteva sempre essere quanto meno pescatore e così, dopo una serie di controlli tecnici effettuati ad Aden (Yemen) l’autorizzazione, alla faccia di tutte le male lingue, arrivò regolarmente e le 700 famiglie, i 2000 somali e i 500 marinai italiani non morirono di fame.
Il dono delle sei navi
Le navi frigorifere non erano sempre state di proprietà Shifco, in origine erano state della stessa Repubblica Somala finché Ali Mahdi, il presidente che prese il potere dopo la caduta di Siad Barre, non decise di darle a tale Farah Munyah – ma il Sismi parlò di sequestro ordinato da Mugne – in cambio di 500mila dollari. Prima ancora le imbarcazioni erano state italiane finché non furono donate dal Dipartimento per la Cooperazione e lo Sviluppo del Ministero degli Esteri alla stessa Somalia. La flotta Shifco però cambiò immediatamente funzione e così come ufficialmente caricava le sue navi di pesce surgelato iniziò ugualmente a riempirle di centinaia di fucili mitragliatori e relative munizioni. Lo dice il rapporto S/2003/223 del Consiglio di Sicurezza Onu datato 25 marzo 2003. Il 14 giugno 1992, specifica il rapporto, una nave Shifco caricò dalla M.V. Nadia circa 300 fucili d’assalto Ak-47 dell’Est Europa e 250mila proiettili di piccolo calibro. Il carico fu poi sbarcato ad Adale, in Somalia. Complice di Mugne e regista dell’intera operazione fu il “principe di Marbella” Monzer al-Kassar, trafficante internazionale di armi che riuscì a violare sistematicamente l’embargo Onu sulla Somalia a partire dal gennaio 1992.
La storia della Shifco è complessa. Come spiegato nel 2000 dal senatore Russo Spena, tutto nacque da un contratto stipulato tra Sec di Viareggio e governo somalo nel 1979, con un credito finanziario di 18,638 miliardi di lire più successivi 5,74. Le prime tre navi furono, appena consegnate, subito girate dalla Repubblica Somala alla Cooperpesca dei fratelli Macinelli (uno dei quali dipendente di Renzo Pozzo, l’amministratore della Sec) per 350mila dollari ma nonostante la gestione italiana ci furono “incomprensioni mai chiarite” e le imbarcazioni furono fermate in zona equatoriale dove rimasero a marcire fino al 1985. Mugne e Pozzo non erano fatti l’uno per l’altro e litigarono finché il secondo non risolse ogni problema parlando con l’allora presidente Siad Barre che «fece intendere al Pozzo che se la Sec voleva continuare a lavorare con la Somalia doveva uscirsene dalla società di gestione … alla Sec interessava costruire per conto del Governo italiano altre tre navi di cui già si parlava come da destinare alla Somalia in dono».
Tutto risolto ma non erano solo i rapporti tra soci a deteriorarsi. Anche le navi stavano andando a pezzi al punto che Sec, su impulso dell’appena creato FAI (Fondo Aiuti Italiano), decise di rimetterle in sesto aggiungendo le altre tre previste. E’ il 1986 ed il “credito finanziario” si trasforma in “dono”. Le sei navi vengono affidate alla Somitfish (Shifco + Cooperpesca che controllava le prime tre) di Mugne. Passano due anni e a Mogadiscio viene in mente di rilevare tutte le azioni di Somitfish. Ovviamente senza pagare un soldo. La soluzioni la trova Renzo Pozzo di Sec:
«Ovviamente dalla Somalia non si vuole far uscire 350.00 dollari. Per superare questo punto occorre che le azioni abbiano un valore zero. Per fare questo è sufficiente che Somitfish abbatta il suo capitale sociale con, le perdite accumulate fino ad oggi. Esibendo in Italia il documento che certifica questa operazione la Banca d’Italia restituirà, su nostra disposizione, le azioni senza pretendere null’altro».
Somitfish è liquidata e Mugne, responsabile com’è del “Progetto Pesca”, riprende il controllo su mandato dell’Enfais di tutte le azioni di Pozzo. Dopo pochi mesi la nuova Shifco Malit accumula già una perdita di 2 miliardi di lire. Sec interviene ancora, ripiana il buco, prende a gestione i pescherecci, restituisce la gestione alla Shifco Malit che va in liquidazione e passa le navi alla Shifco di Mugne. Ed il cerchio si chiude. L’entrata della Panati servirà per ripianare le ulteriori e continue perdite la cui responsabilità Mugne respinse poi in toto perché “io non ho mai ricoperto alcuna carica nell’ambito della Somitfish”

Ma ora dove sono queste navi?
Attualmente conosciamo con precisione i nomi delle navi Shifco grazie anche ad un rapporto dell’ufficio cibo e veterinaria dell’Unione Europea che le visitò ad Aden (Yemen) il 18 novembre 1998. Il documento spiega che le sei navi furono costruite a Viareggio, le prime tre nel biennio 1981-82 e due nel 1990 e che tutte prevedevano una ciurma di 40 persone (la stima di 400 marinai fatta da Antonio Di Pietro appare quindi difficilmente giustificabile) e un carico massimo di 20 tonnellate di pesce surgelato. Il “pesce”, ci dice l’ufficio europeo, sarebbe stato pescato in Somalia, trasportato ad Aden e poi consegnato in Italia dove poi avrebbe preso la rotta dell’Arabia Saudita e della Giordania. E’ possibile rintracciare le navi in maniera univoca grazie al codice Imo, un identificativo internazionale permanente che rimane invariato al cambio di nome e bandiera di una nave. Il database online della Imo (International Maritime Organization) non contiene però i numeri assegnati alla flotta Shifco ad eccezione di uno. Se ne dovrebbe dedurre che le navi non sono più in circolazione. O meglio non dovrebbero più esserlo. In realtà molti database online sono incompleti e datati ed altri riportano dati spesso incorretti o fuorvianti. L’Imo delle navi Shifco è stato recuperato recuperarlo grazie ai dati della Intenational Association of Classification Societies, una società che si occupa di monitorare lo stato e le caratteristiche tecniche di più del 90% del naviglio mondiale. Nella banca dati della Iacs sono riportati tutti gli “overdue surveys” – una sorta di tagliando di controllo non più prorogabile – e le altre cause che hanno determinato il ritorno in cantiere di un’imbarcazione per essere revisionata.
La nave Urgull è stata fotografata (foto disponibili via Shipspotting.com) nel settembre 2005 a San Sebastián sulla costa basca spagnola al confine con la Francia. Dal 30 maggio 2007 al 14 luglio 2008 le foto ne documentano la presenza a Vigo. Il 4 febbraio 2009 è a Las Palmas nelle Canarie, il 22 febbraio 2009 ritorna sui propri passi superando Vigo e fermandosi poco più a nord nel porto di Caramiñal. Dal 5 luglio Urgull è fotografato sempre nelle vicinanze di Vigo, a Chapela e a Ria de Vigo. In effetti il Word Shipping Register conferma che l’Urgull è gestito dalla compagnia Urgora con sede in Honduras ma uffici proprio a Vigo.
Dopo quasi 20 anni e con l’eccezione di Urgull (ex 21 Oktoobar II) non sembra più possibile rintracciare con precisione le navi della Shifco che però esistono ancora e sono di proprietà di due compagnie: la Fishing Indian Ocean Catching e la Fishering Indian Ocean Catching. Considerando che l’80% delle navi batte attualmente bandiera del Belize, Honduras, Panama o Saint Vincent & Grenadines la nazione di registrazione non pare così importante. E’ importante invece sapere che la sede della Fishering, sempre secondo il Word Shipping Register, è situata a Mazza e Cozzile in provincia di Pistoia e cioè presso la sede della Panafin, per alcuni anni Sopal, la holding alimentare della partecipata statale Efim. La Panafin o PanafinPesce è tutt’ora di proprietà di Vito Panati, il manager che fu accusato da un suo dipendente di essere a conoscenza del traffico di armi organizzato da Munge. Panati ha però sempre negato come ha sempre negato di conoscere con precisione la movimentazione e le rotte delle sue navi.
Giovanni Stinco

La mappa delle 70 navi nocive affondate in Mediterraneo:
e qui il link al sito con la mappa interattiva le info

GiovedìScienza (Torino)

Ne approfitto per pubblicare il link al sito di Giovedì Scienza.
http://www.giovediscienza.org/
Sono qui visibili i video di una serie di conferenze su vari argomenti interessanti.
Le conferenze si sono tenute nel Teatro Colosseo di Torino nel corso dei giovedì sera dell’inverno 2009/2010.

Buon arricchimento culturale a tutti 🙂

…e qui trovate il canale YouTube con i video delle conferenze!!!

Tiziano Terzani sul vegetarianesimo

Consiglio la visione di questa intervista a Tiziano Terzani sul vegetarianesimo:

Africa: speranza di vita + 17 anni (dal 1950)

Il progresso della medicina, dell’alimentazione e dell’igiene ha migliorato la speranza di vita in molti paesi africani. Nel 1950 la speranza di vita media in Africa era di 37 anni, nel 2010 è salita a 54 anni.

Copiryth @ Jivis Tegno
Su Facebook: Mi Piace l’Africa

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