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UNA DICHIARAZIONE di Claes Oldenburg

Di Claes Oldenburg[1]

Sono per un’arte che prende le sue forme dalla vita, che si contorce e si estende impossibilmente e accumula e sputa e sgocciola, ed è dolce e stupida come la vita stessa. Sono per l’artista che sparisce e rispunta con un berretto da muratore e dipinge insegne e cartelloni.

Sono per l’arte che viene fuori come un pennacchio di fumo e si disperde nel cielo. Sono per l’arte che si riversa dal borsellino di un vecchio quando è urtato da un parafango che passa. Sono per l’arte che esce dalla bocca di un cagnolino e che cade a terra dal quinto piano. Sono per l’arte che il bambino può leccare dopo aver tolto la carta. Sono per un arte che si fuma come una sigaretta, puzza come un paio di scarpe. Sono per un’arte su cui ci si può mettere a sedere… Sono per l’arte che si accende e si spegne con un giro d’interruttore. Sono per l’arte che si srotola come una cartina, che si può stringere come il braccio della fidanzata, o baciare come l’amato cagnolino. Che si allunga e cigola come una fisarmonica, che si può macchiare con le pietanze come una vecchia tovaglia. Sono per un’arte con cui dare martellate, rammendare, cucire, incollare, limare. Sono per l’arte che ti dice che ora è, e aiuta le vecchie signore ad attraversare la strada.

Sono per l’arte delle pompe di benzina bianche e rosse e per le ammiccanti pubblicità dei biscotti. Sono per l’arte del vecchio gesso e del nuovo smalto. Sono per l’arte delle scorie e antracite e uccelli morti. Sono per l’arte dei graffi sull’asfalto. Sono per l’arte che piega le cose, le prende a calci e le rompe e le tira e le fa cadere. Sono per l’arte delle banane spiaccicate sedendoci sopra.

Sono per l’arte della biancheria intima e dei taxi. Sono per l’arte dei gelati lasciati cadere sull’asfalto. Sono per l’arte che emettono barlumi e illuminano la notte. Sono per l’arte che cade, sguazza, si dimena, salta, entra ed esce. Sono per l’arte dei grossi pneumatici dei rimorchi e degli occhi neri. Sono per Kool-Art, 7-Up-Art, Sunkist Art […].

Sono per l’arte bianca dei frigoriferi e dell’energico scatto nell’aprirsi e chiudersi […]

Sono per l’arte degli orsacchiotti decapitati, degli ombrelli esplosi, delle sedie con le gambe rotte, degli alberi di Natale in fiamme, dei resti dei mortaretti, delle ossa di piccione e delle scatole con dentro uomini addormentati. Sono per l’arte che appende, l’arte dei conigli insanguinati e delle vecchie galline, dei tamburelli e dei fonografi di plastica, di scatole abbandonate legate come faraoni.

 


[1] Dalle dichiarazioni dello scultore contenute nel catalogo “Environment Situations Spaces” della mostra alla Martha Jackson Gallery, New York (1961), pubblicate in Pop Art in USA, di A. Boatto.

Piet Mondrian

Piet Mondrian nasce ad Amersfoort (Utrecht) nel 1872. Quando nel 1908 si trasferisce a Domburg, in Zelanda, incontra il pittore Jan Toorop e la sua influenza sarà decisiva nel segnare il passaggio dalla prima maniera naturalistica a quella simbolista. La sua pittura inizia così a subire una progressiva semplificazione dell’immagine insieme all’uso di colori molto accesi. Un esempio di questa fase è rappresentato dalla storica serie di opere sul tema dell’albero. Tra il 1914 e il 1919 ritorna in Olanda e la sua pittura si avvia definitivamente verso una rigorosa ricerca astratta e una radicale elementarizzazione delle linee e dei colori. Nel 1917 fonda, insieme a Theo van Doesburg, la rivista De Stijl. Intorno a quest’ultima nasce il gruppo del Neoplasticismo, teso verso una ricerca di nuove modalità espressive basate, appunto, su rapporti elementari ed essenziali nelle forme e nei colori. I presupposti teorici della sua pittura si basano sull’incontro con la filosofia idealistica tedesca e la teosofia e puntano verso un equilibrio tra l’uomo e l’universo. I suoi quadri si riducono così a una essenziale rappresentazione di linee rette che si incontrano ortogonalmente e definiscono serie di quadrati e rettangoli per i quali vengono utilizzati solo colori elementari. Dal 1940 si trasferisce definitivamente a New York dove muore nel 1944.

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Michelangelo Pistoletto

Michelangelo Pistoletto nasce a Biella nel 1933. Dall’età di quattordici anni, pur non ricevendo alcun insegnamento artistico, lavora con il padre restauratore di quadri. La sua prima esposizione personale ha luogo nel 1960. Con il gruppo “Lo zoo” è impegnato nella realizzazione di azioni performative.

Il nome di questo artista contemporaneo è legato (insieme a quello di Alighiero Boetti, Giulio Paolini, Gilberto Zorio, Mario Merz, Pino Pascali e altri) alla corrente artistica della neo avanguardia che il critico genovese Germano Celant ha definito per la prima volta Arte Povera. Alla prima esposizione di questo movimento, Pistoletto partecipa nel 1967. Tra il 1975 e il 1982 realizza i suoi quadri specchianti: una sorta di figurazioni pittoriche poste su superfici metalliche specchianti che esprimono il tema, caro all’artista, della percezione e del doppio. Dal 1983 realizza lavori, installazioni e sculture ai piedi dei quali l’artista ammassa materiali e oggetti “poveri”, di uso quotidiano come gli stracci; un esempio significativo è rappresentato dalla famosa Venere degli stracci. Attualmente residente a Torino, Pistoletto insegna all’Accademia di Arti Figurative di Vienna.

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Francesco Clemente

Francesco Clemente nasce a Napoli nel 1952. Trascorre l’infanzia a stretto contatto con le immagini del ‘600 pittorico e dopo la maturità comincia  a dipingere da autodidatta, scrive e pubblica poesie. Nel 1970 si iscrive a Roma alla Facoltà d’Architettura e conosce Alighiero Boetti da cui si lascia influenzare artisticamente. Nel 1971 tiene la sua prima personale presso la Galleria di Villa Giulia  a Roma. Successivamente si trasferisce in India, a Madras, dove apre un suo studio e lavora anche in collaborazione con artisti indiani realizzando con loro un gruppo di miniature. Avvicinatosi nel 1979 al movimento teorizzato da Achille Bonito Oliva della Transavanguardia, ne diventa uno dei maggiori esponenti insieme a Chucchi, Chia, De Maria e Paladino. Con questi ultimi tiene un’esposizione a Colonia. Gli anni ’80 sono caratterizzati da una decisa reazione all’arte concettuale e segnano anche l’inizio di un grande successo internazionale per Clemente che dal 1981 si trasferisce a New York, operando in collaborazione con Warhol, Basquiat, Ginsberg. In questi anni realizza una serie ispirata alle stazioni della Via Crucis e organizza una raccolta di fotografie d’architettura. Ancora oggi vive e lavora nella città statunitense.

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Mario Schifano

Mario Schifano nasce a Homs, in Libia, nel 1934 ma si trasferisce ancora giovanissimo a Roma con la famiglia. Nel 1959 tiene la sua prima personale esponendo opere informali. Successivamente comincia a dipingere quadri monocromi (grandi carte incollate su tela e ricoperte di un solo colore). I primi anni ’60 lo vedono avvicinarsi alla Pop Art e nel 1965 realizza un ciclo di opere dedicate al Futurismo. Nel 1967 presenta il lungometraggio Anna Carini vista in Agosto dalle farfalle e successivamente una trilogia di film. La sua incessante attenzione per la ricerca lo spinge a compiere continue sperimentazioni e, agli inizi degli anni ’70, riporta delle immagini televisive direttamente sulla tela emulsionata. Tali immagini, estrapolate dal ritmo narrativo cui appartengono, vengono riproposte con tocchi di colore alla nitro che ne accentua il carattere straniante. A partire dagli anni ’80 l’interesse principale di Schifano diventa il mondo naturale che reinventa e ripropone attraverso immagini veicolate da apparecchi televisivi. Nell’ultima fase della sua carriera l’artista romano è particolarmente impegnato nell’organizzazione di personali e attività espositive di vario genere. Muore a Roma nel 1998.

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Jackson Pollock

Il pittore statunitense Jackson Pollock nasce a Cody nel 1912.
Trascorre l’infanzia e la giovinezza in Arizona e California dove ha modo di conoscere i disegni rituali sulla sabbia degli indiani Navaho. Esercitano su di lui una notevole influenza anche la pittura messicana di D. A. Siqueiros e J. C. Orozco; quella di Picasso e quella di surrealisti come Mirò, Matta ed altri. A partire dal 1938, nelle sue opere assumono sempre maggiore importanza le forme di espressione irrazionale e primitiva. Nei quadri di questo periodo diventa centrale la figura totemica caricata di una forte simbologia sessuale. Profondamente convinto della non casualità di ogni gesto, dal 1946 introduce la tecnica del dripping e diventa il principale punto di riferimento di quella nuova espressione artistica definita action painting. Il dripping è una tecnica pittorica in cui l’artista realizza sgocciolature e spruzzi di colore sulla tela, che viene poggiata sul pavimento, entrando così fisicamente all’interno del quadro. In questo modo è l’emozione stessa dell’artista a divenire il centro della creazione pittorica che si manifesta attraverso i segni lasciati dallo sgocciolare del pennello che segue i movimenti del corpo. Le opere di Pollock, che muore a Long Island nel 1956, saranno determinanti per i successivi sviluppi della pittura informale tanto americana quanto europea.

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Keith Haring

“Un vero artista è soltanto un veicolo per tutto ciò che passa attraverso di lui.
L’artista contemporaneo è responsabile verso l’umanità,
deve costantemente celebrare l’umanità e opporsi alla disumanizzazione della nostra cultura”

 

Keith Haring (scheda wiki) nasce il 4 maggio 1958 a Kutztown in Pennsylvania.
Impara a disegnare da suo padre, e si appassiona ai fumetti e ai cartoni animati.
A 18 anni, dopo il liceo, va a New York e si iscrive alla School of Visual Art dove lavora sia al disegno sia alla performance e al video. Qui conosce artisti come Simone Forti, Keith Sonnier e Joseph Kosuth.
A cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta a New York si sviluppano due tendenze, quella del Neo-espressionismo e quella del movimento creativo dei “Graffitisti” (che disegnano e scrivono con vernice spray sui muri degli edifici o sui treni della metropolitana).
Haring nutre immediatamente un deciso interesse per quest’ultima corrente artistica e incomincia a disegnare a carboncino bianco sulla carta nera applicata dalla censura commerciale sulla pubblicità abusiva.
Nascono così le sue figure sinteticamente tratteggiate da cui traspare uno spirito dissacrante e ironico.
I suoi lavori, a metà fra graffito primordiale e fumetto, lo accomunano al lavoro di Andy Warhol per l’immediatezza espressiva e per il riferimento a temi conosciuti dal grande pubblico.
Divenuto un protagonista dell’arte newyorkese e internazionale si impegna alla sensibilizzazione sull’Aids, malattia che egli stesso contrae e di cui muore a soli 32 anni (febbraio 1990).

  

In maniera semplice e lineare gli uomini stilizzati di Keith Haring diventano il simbolo di una condizione esistenziale universale. Inizialmente affronta diversi temi per poi lasciarsi affascinare dagli eventi quotidiani e di attualità come le guerre, lo sfruttamento del terzo mondo, l’intolleranza, la lotta alla droga.
Keith sente l’importanza di comunicare concetti, idee, immagini che appartengono all’esperienza comune, alla conoscenza di tutti.
I suoi disegni decorano la città, rendendo uniche , singolari e cariche di energia le superfici metropolitane spesso squallide e insignificanti.

Passeggera del silenzio

Fabienne Verdier, passeggera del silenzio, ed Ponte Alle Grazie, Milano,2004.

…”Si tratta di prendere coscienza della pesantezza e della gravitazione universale, mentre il pennello diventa un autentico pendolo, un legame tra l’universo e il centro della terra”.

Un’artista straordinaria e caparbia, un racconto appassionato e profondo. Dieci anni di vita in Cina alla ricerca di se stessi per scoprire la storia di un paese straordinario.

Alfredo Jaar

Artista contemporaneo (1956) cileno che ha fatto della informazione e della cultura (…o meglio della “mancanza di cultura”) il suo principale “cavallo di battaglia”.
Le sue opere portano la concentrazione del visitatore su fatti di cronaca gravissimi e contemporanei colposamente trascurati dal mondo dell’informazione.
Scheda wiki dell’artista.
Sito web di Alfredo.

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